“Astle is the king!
Astle is the king!
The Brummie Road will sing this song,
Astle is the king!”
Non sono pochi i tifosi inglesi che rimpiangono i “bei vecchi tempi di una volta”. Quelli in cui il campionato organizzato dalla Football Association non aveva i milioni e gli sponsor di adesso, i i ricchi contratti TV, i campioni patinati. Può sembrare paradossale a prima vista, eppure la Premier League di oggi, cioè il torneo più ricco e seguito al mondo, ha generato in tanti tifosi un insopprimibile senso di smarrimento e nostalgia.
Per cercare le emozioni di un tempo è necessario guardare lontano dalle moderne capitali del pallone come Londra, Manchester, Liverpool. Il football inglese, oggi, giocoforza non può più raccontare le storie di calcio e di uomini che raccontava un tempo. Storie magiche, e tragiche, come ad esempio quella di Jeff Astle, il Re di West Bromwich nei ruggenti anni ’60.
Il WBA, West Bromwich Albion, viene fondato nel 1878 da un gruppo di dopolavoristi, e pur se nella sua storia non ha mai raggiunto le vette di gloria e notorietà di Arsenal, Manchester United e via dicendo si è sempre comunque difeso più che bene, partecipando per la maggior parte delle volte al massimo campionato. E arrivando addirittura a vincerlo: nel 1920, quando alla ripresa delle gare dopo la guerra i “Throstles” (“i Tordi”, l’uccello rappresentato anche nello stemma del club) sorpresero tutti conquistando un unico e irripetibile titolo nazionale.
Fu ben presto infatti ovvio che, mano a mano che il calcio professionistico andava crescendo, le piccole realtà come quella del WBA sarebbero rimaste ai margini, accontentandosi di bricioli di gloria. Ma in fondo in Inghilterra a tanti va bene così, perché tifare il proprio “local team” è qualcosa che va davvero al di là del risultato.
Jeff Astle, un esordio da predestinato
Jeff Astle nasce il 13 maggio 1942 nell’allora insediamento minerario di Eastwood, cittadina nei pressi di Nottingham a circa 50 miglia di distanza da West Bromwich. Fin da subito si innamora del pallone, dimostrando durante la crescita di essere in possesso del talento necessario per poter ambire a fare del calcio la propria professione.
Non è un fine artista, ma ha tutte le caratteristiche che deve avere un centravanti per entrare nel cuore dei tifosi inglesi. È coraggioso, potente, generoso e soprattutto bravo a fare quello che tutti (tifosi, compagni, allenatori) gli chiedono: scaraventare il pallone in fondo alla rete.
L’esordio nel calcio dei grandi arriva a 17 anni con la maglia del Notts County, il club professionistico più antico al mondo. Ai tempi è già finito ai margini del calcio che conta, ma questo non impedisce al giovane Jeff di distinguersi. Nel fango della terza e quarta serie appare già evidente che il ragazzo sia un lusso per la squadra che lo ha scoperto.
Segna 31 reti in 103 incontri, una di media ogni tre presenze. E se queste marcature non bastano a trascinare la squadra oltre la terza serie servono almeno a lui, visto che il West Bromwich Albion lo nota e se lo prende per 25,000 sterline, una cifra già di per se non elevatissima ma che si rivelerà in poco tempo addirittura un’inezia. Il WBA, infatti, ha trovato il suo più grande eroe di sempre, anche se ovviamente nessuno può ancora sospettarlo.
The King of “The Hawthorns”
Partita dopo partita, stagione dopo stagione, Jeff Astle diventa il leader del WBA e l’idolo dei tifosi dell’Hawthorns, “il santuario” sorto nel 1900 su di un campo di biancospini (“hawthorns”) e che vede i tifosi di casa esaltarsi per le gesta di questo centravanti a tratti irresistibile, capace di fare reparto da solo, il primo a difendere e a tentare di recuperare il pallone ma anche il migliore di tutti a buttare la palla in fondo al sacco.
Si crea, tra Astle e i fans, una sinergia che esalta questo ragazzone, che sembra volare quando stacca per colpire di testa, qualità in cui non è secondo a nessuno in tutto il Paese e che gli vale l’attenzione del CT Ramsey nonostante giochi in una squadra ambiziosa ma piena di limiti. Fino al suo arrivo, appunto, perché mentre sui ponti e sui muri di West Bromwich comincia a comparire la scritta “ASTLE IS THE KING”, lui convince tutti che si, la storia cambierà.
Alla seconda stagione con Astle titolare al centro dell’attacco il WBA centra un ottimo sesto posto in campionato, soltanto un punto dalle coppe europee, e conquista la Coppa di Lega superando il West Ham United. Dopo aver perso di misura all’andata Jeff e compagni distruggono gli “Hammers” al ritorno al “The Hawthorns”, scatenando i propri increduli tifosi con un 4-1 dove “The King” non segna ma crea occasioni a ripetizione con le sue sponde aeree.
È il 1966, Astle non rientra nei 22 che vinceranno il primo e unico Mondiale di chi il football lo ha inventato, un po’ perché gioca nel WBA e molto perché davanti ha nomi come Hunt, Hurst, Greaves. Nomi che lo sopravanzano inevitabilmente anche in campionato, dove non bastano le sue reti a dare continuità a una squadra troppo debole per le ambizioni della dirigenza, schiacciata dalle superpotenze ormai acclarate che corrispondono ai nomi di Manchester United, Arsenal e Liverpool.
La F.A. Cup del 1968
La stagione 1967/1968 è quella che vede Jeff Astle passare alla storia e con lui il West Bromwich Albion, che in panchina ha visto Alan Ashman sostituire il bravo Jimmy Hagan, che finirà poi in Portogallo dove lascerà un grande ricordo: il nuovo tecnico disegna la squadra intorno a “The King”.
E se in campionato le sue 26 reti (meglio di lui solo George Best e Ron Davies) bastano a malapena per raggiungere l’ottavo posto, in FA Cup, la Coppa d’Inghilterra, la storia diventa presto una favola bellissima: turno dopo turno i “Throstles” eliminano il Colchester United, il Southampton, il Portsmouth, quindi il Liverpool e poi, in semifinale, i rivali del Birmingham City.
Astle segna in ogni turno, distinguendosi per la foga con cui stacca di testa, spesso su campi al limite dell’impraticabilità per via delle tipiche piogge invernali inglesi, che rendono ogni contrasto, ogni tuffo, ogni corsa, un atto di forza e di fede.
Il pallone, che all’epoca è pesante e con la pioggia lo diventa ancora di più, incornato da “The King” si trasforma in una palla di cannone che miete vittime in successione: ormai è chiaro che il West Bromwich Albion è una squadra che punta tutto sul proprio coraggioso centravanti, e che bloccare lui equivalga a bloccare l’intera compagine.
Una finale memorabile
Per questo, davanti ai 100.000 spettatori che assiepano Wembley il 18 maggio del 1968, Astle si trova isolato in avanti, marcato dall’intera difesa dell’Everton e incapace di concludere a rete nonostante un generoso e continuo tentativo di liberarsi che lo fa andare spesso anche sulla fascia. Ai grandi attaccanti, però, spesso basta un pallone per lasciare il segno.
E Jeff Astle, “The King”, è un grande attaccante: sono appena iniziati i tempi supplementari quando l’inesauribile centravanti del WBA supera un avversario, giunge al limite dell’area e prova il tiro di destro. Il pallone viene respinto dai difensori ma torna ancora a lui, che di sinistro al volo spara una cannonata imparabile.
Il risultato non si sblocca più, finisce 1-0 e il West Bromwich Albion è – inaspettatamente – trionfatore nell’edizione del 1968 della FA Cup, il più antico trofeo al mondo. Tanto basta a “The King” per diventare immortale nel cuore dei tifosi.
La vittoria è di tutti, ovviamente: del talentuoso scozzese Bobby Hope, vero genio e bandiera della squadra che poi finirà a svernare in alcuni club minori americani. Di John “Bionic” Osborne, il miglior portiere nella storia del club, e ancora di Tony Brown, uno che doveva entrare nelle giovanili del Manchester City ma dopo un provino si era innamorato del WBA, per cui poi avrebbe giocato 17 anni segnando più di 300 reti.
Eppure, vuoi perché autore del goal decisivo, vuoi per tutto quel talento a lungo forse sprecato per amore della maglia, per tutti quella sarà sempre la vittoria di Jeff Astle.
Ritorno nell’anonimato
Le stagioni successive tornano ad essere come sempre anonime per la squadra, che per troppa fretta allontana Ashman e si perde, ma ottime per l’ormai mitico Jeff, che segna a ripetizione mancando di fatto soltanto un goal, che purtroppo ne segnerà la storia in Nazionale.
Accade ai Mondiali del 1970, quando finalmente Astle – che al torneo si è presentato da capocannoniere del campionato – ha la sua possibilità con l’Inghilterra e la sciupa sprecando una facile occasione, una sorta di “rigore in movimento”, nella gara che gli inglesi campioni in carica perdono contro il Brasile di Pelé.
“Il rigore in movimento di Astle, del “Re” (ASTLE IS THE KING, si scriveva, in quegli anni, sui muri del centro dell’Inghilterra), finisce a lato. Jairzinho poco dopo punisce Banks, segnando l’unico gol dell’incontro.
Si è spenta la luce un momento, e poi per sempre.”
(Federico Buffa/Carlo Pizzigoni, “Storie Mondiali – Un secolo di calcio in 10 avventure”, Sperling & Kupfer, p. 151)
Jeff Astle, una macchina da reti
Una piccola macchia in una carriera eccezionale, che lo vede restare con il West Bromwich Albion – nonostante diverse squadre importanti si interessino a lui – per dieci anni e segnare in questo periodo la bellezza di 174 gol in 361 partite.
Una media vicina a quella di una rete ogni due gare, che già di per se sarebbe eccezionale ma lo è ancor di più pensando che non gioca certo in una squadra capace di ammazzare il campionato o dallo spirito spiccatamente offensivo.
Acciaccato, lascia il calcio competitivo ad appena 32 anni, chiudendo prima in Sudafrica con i variopinti Hellenic e poi nelle serie minori inglesi: al Dunstable Town si svenano per avere lui e George Best in attacco, ma mentre nonostante gli acciacchi Jeff gioca e segna il “quinto Beatle” ha sempre più problemi e s’intravede in appena un pugno di gare.
Il club fallisce, e mentre Best vede emergere sempre più i propri problemi, Astle conclude segnando ancora con le maglie di Weymouth e Atherstone Town, per poi lanciarsi nel mondo del lavoro aprendo una ditta specializzata in pulizie di finestre e uffici.
Un compito che a volte svolge lui stesso con simpatia e ottimismo, tratti tipici di un carattere semplice che ha fatto innamorare i tifosi che lo hanno visto all’opera e che gli permette anche di essere presente, ironico e autoironico, nel programma “Fantasy Football League”, sempre sorridente nel chiudere la trasmissione cantando improbabili cover, tra le risate di un pubblico che lo adora.
Tradito dal pallone
Tutto sembra andare bene, dunque, ma anche se nessuno lo sa Astle ha un male dentro che si manifesta improvvisamente quando la moglie nota che Jeff non riconosce una foto che fa bella mostra di se in casa e che ritrae il goal di Wembley del 1968, quello della vittoria contro l’Everton e che lui aveva ripetutamente definito negli anni come “un momento indimenticabile, il più bello della mia vita”.
Sembra uno scherzo dei suoi, ma purtroppo non lo è affatto: saranno cinque anni di dolore, quelli vissuti dalla famiglia, che mano a mano vede Jeff perdere la memoria fino al punto di non ricordare più chi è, chi è stato per tantissimi tifosi. Fino al triste epilogo: il 19 gennaio del 2002 ha un collasso mentre si trova a casa della figlia, viene portato in ospedale e poco dopo si spegne, sessant’anni ancora da compiere.
Le indagini che vengono svolte, unite a quelle già effettuate negli anni precedenti per capire il perché della graduale perdita della memoria, indicano infine un unico colpevole. Quello che poi è stato anche il suo più grande amore: il pallone.
I palloni da calcio utilizzati nel periodo in cui Jeff era “il Re”, infatti, erano pesanti e assorbivano l’acqua in caso di pioggia, diventando in certe occasioni pesanti come veri e propri macigni. E a tutti vengono immediatamente in mente le innumerevoli volte in cui Jeff è volato più in alto di tutti per colpire di testa, scrivendo la propria gloria ma – amaramente – avvicinandosi anche alla fine. “Il football gli ha tolto tutto quello che gli aveva dato” dirà la moglie Larraine distrutta.
Una leggenda immortale
Nel calcio, però, gli eroi possono diventare immortali, ed è quello che succede a “The King of the Hawthorns”: nasce una pagina Facebook che chiede giustizia alla Football Association, a cui segue una fondazione benefica che porta il suo nome e si occupa della prevenzione di tutti quei traumi che possono causare danni ai calciatori di oggi così come di quei giocatori della generazione di Jeff entrati in contatto con certe problematiche.
Il West Bromwich Albion lo ricorda dedicandogli una delle entrate allo stadio, la preferita dei tifosi, che diventa “Jeff Astle Gates”, così come porta il suo nome la fermata della metropolitana che lì trasporta i tifosi dei “Throstles”.
I quali, al nono minuto di ogni match casalingo, lo ricordano ancora oggi saltando sul posto e cantando: ““Astle is the king! Astle is the king! The Brummie Roaders sing this song, Astle is the king!” mentre sul megaschermo appare il suo volto.
Un doveroso tributo a colui che fu un grande centravanti, dal cuore enorme e dal gol facile, diventato per sempre l’eroe dei tifosi del West Bromwich Albion. Un campione che negli ultimi anni di vita dimenticò chi era, ma che mai sarà dimenticato dai suoi tifosi, per cui sarà sempre il solo e unico Re.
SITOGRAFIA:
- Hart, Simon (09/04/2015) Jeff Astle Day: ‘Jeff died not knowing he’d been a footballer’, INDEPENDENT
- Peters, Sam (15/03/2014) England star Astle died from the ‘industrial disease’ of heading footballs…12 years on his widow is still waiting for the FA to deliver on their promises, Daily Mail