La simpatia e il rispetto che ho per un’iniziativa editoriale innovativa e coraggiosa come quella di “Edizioni InContropiede”, casa editrice specializzata in uscite di carattere sportivo, vanno di pari passo con la stima che nutro per Enzo Palladini, una delle firme più note del giornalismo nostrano e profondo conoscitore sia del calcio che del futebol, come viene chiamato in Brasile il gioco più amato al mondo. Una differenza, quella tra il football nostrano e quello brasiliano, che non risiede soltanto nel nome e che Palladini racconta benissimo nel suo “Scusa se lo chiamo Futebol”, un libro che mi sento veramente di consigliare.
Prima di tutto per lo stile con cui l’autore descrive il viaggio dei due immaginari giornalisti e malati di calcio Sergio e Lucio, viaggio che diventa la scusa per raccontare il calcio brasiliano nella sua interezza. Ci si troverà presto immersi nel País do Futebol, ma non in quello patinato dei grandi campioni milionari, bensì in quello più povero e dimenticato, e quindi in un certo senso più vero: tornei di rioni, campioni mancati o che soltanto si credono tali, leggende che parlano di lupi mannari, portieri insuperabili giunti dalla Toscana, centrocampisti con una gamba sola ma con tanta voglia di giocare con gli altri.
Tra tragedia e comicità si va avanti per quasi 180 pagine attraverso racconti incredibili di impostori, vite buttate e vite riprese, il tutto al ritmo di futebol e con uno stile di scrittura davvero notevole, pieno di ritmo, come ci si può aspettare da una penna esperta e che conosce l’argomento come Palladini.
Ma la cosa più bella, probabilmente, è quanto il libro porti effettivamente il lettore a sentirsi in Brasile, in quello vero, quello spesso dimenticato. Ognuna delle tante, tantissime storie che compongono l’opera, ha dentro di se una morale: ci si troverà a leggere dell’Ibis Sport Clube e a riflettere sulla gioia e la spensieratezza che può darci sapere di essere gli ultimi, si riderà con Carlos Kaiser, mai stato calciatore eppure con una carriera ventennale, quella che non hanno avuto “il Pelé del Sergipe”, oppure Perivaldo, passato dalla possibile convocazione per España ’82 alle strade di Lisbona.
E chi si ricorda di Dener e di Francisco Alberoni? Sapevate che in Amazzonia ogni anno si tiene un campionato la cui vittoria dipende anche da chi ha la “Miss” più bella? E che uno dei più grandi centravanti brasiliani, Dada Maravilha, ha iniziato a giocare a calcio a 19 anni? Questo e altro troverete in questo piccolo gioiello chiamato “Scusa se lo chiamo Futebol”, un libro che personalmente ho trovato magico e che sono convinto piacerà a chiunque ami il calcio nella sua essenza e nella sua magia.
La carriera di Kaiser è durata vent’anni, nel corso dei quali ha totalizzato poco più di venti presenze ufficiali. In Brasile, zero. Il Paese del calcio non poteva compiere un sacrilegio di questo genere. Ma in Francia sì, perché privarsi di questa opportunità? Negli ultimi anni, dai 36 ai 39, Kaiser ha militato nell’Ajaccio, all’epoca in seconda divisione francese. Ha giocato davvero, quattro o cinque presenze a stagione, una ventina di minuti ogni volta. Presenze ben distanziate, perché ogni volta usciva dal campo zoppicante, con una contusione o uno stiramento, almeno un mesetto di stop per ogni partita. Ma quegli ultimi anni di carriera gli hanno lasciato l’unico rimpianto di questa vita assolutamente folle. Forse se ci avesse pensato prima avrebbe potuto fare davvero il calciatore.