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Autore: Simone Cola

Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

Leônidas, il “Diamante Nero”

Quasi ogni calciatore sogna un giorno di giocare i Mondiali con la maglia del proprio paese. Infatti, quasi tutti i più grandi calciatori della storia sono stati protagonisti nella Coppa del Mondo, a lungo e forse anche a tutt’oggi la vetrina più importante che il calcio offra.

Eppure ci sono stati grandi calciatori che ai Mondiali non hanno lasciato il segno: alcuni per essere parte di un movimento calcistico incapace di offrire una Nazionale abbastanza competitiva, ed è il caso del gallese Giggs, del nord-irlandese Best, dello svedese Ibrahimovic, del liberiano Weah e di molti altri.

Il grandissimo Alfredo Di Stefano (da molti considerato il più grande calciatore della storia, più di Pelé e Maradona) giocò sia con la Spagna che con l’Argentina, ma senza lasciare traccia: per entrare nella storia ha però vinto 5 Coppe dei Campioni consecutivamente, trascinando un Real Madrid zeppo di campioni sul tetto del mondo.

Ma il giocatore di cui oggi vorrei raccontare qualcosa, sconosciuto ai più in quanto simbolo di quel calcio dei pionieri mai abbastanza conosciuto, pur avendo deluso con la sua Nazionale in ben due Mondiali, è riuscito in una edizione ad essere il capocannoniere del torneo.

E poi, per tutti quelli che lo conoscono, è stato colui che ha inventato la rovesciata. Parliamo di Leônidas da Silva, per tutti semplicemente Leônidas, il Diamante Nero.

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Lutz Pfannenstiel, globetrotter inarrestabile

Ogni calciatore ha la sua storia. C’è chi da bambino sogna di giocare per la propria squadra del cuore, chi sogna di vincere coppe e trofei, giocare negli stadi più prestigiosi del mondo e magari vestire la maglia della Nazionale.

Per quei pochi che arrivano a realizzare questi sogni molti altri finiscono per essere piccole comparse nel grande racconto del calcio, magari giocando nelle divisioni minori e riuscendo comunque a fare del football il proprio lavoro ma con un pizzico di malinconia di quello che poteva essere e invece non è stato.

A volte è sfortuna, a volte mancanza di talento o di carattere, spesso una combinazione di tutte queste cose. C’è chi potrebbe deprimersi.

Ma questa è la storia di un calciatore che, pur dotato di un certo talento, ha deciso di vivere la sua vita calcistica in modo completamente diverso, inseguendo più la conoscenza che il denaro e la fama, più la crescita personale che quella sportiva. Finendo per avere una carriera unica ed inimitabile, una carriera da “Guinnes dei Primati” quasi impossibile da ripetere.

Finendo per diventare non il portiere di una squadra, o di un certo numero di squadre, o di una Nazionale, ma “il Portiere del Mondo”, un nomade inarrestabile affamato di calcio e voglia di conoscere le diverse realtà – calcistiche e non – del pianeta.

Questa è la storia di Lutz Pfannenstiel.

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Flop 11: le peggiori figurine della storia

Il sito agenziainforma.it ha selezionato tempo fa alcune tra le figurine più brutte della storia del calcio, e ovviamente ho chiesto alla mia fidanzata Sara di ordinarle secondo il suo gusto. Io aggiungerò qualche info e qualche considerazione personale, sperando di farvi cosa gradita. Al solito ditemi la vostra personale classifica nei commenti! E ora iniziamo!!!

04 Alain Sutter

Non è una figurina, e questo salva Alain Sutter da entrare in questa classifica: noto per la sua guerra contro il disboscamento dell’Amazzonia, poteva però cercare un espressione un pelo più convincente.

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Flop 11: Le peggiori acconciature della storia del calcio

Il bello del calcio è che i calciatori, prima di essere professionisti abili e spesso strapagati, sono principalmente esseri umani: e un essere umano ha pregi e difetti che lo rendono unico.

L’alcolismo di Best e Gascoigne, l’individualismo di Friday, la pigrizia di Le Tissier, l’arroganza di Balotelli e Ibrahimovic, la fragilità fisica di Kerlon e Pato sono cose che ci ricordano quanto questi “eroi del pallone” siano in fondo più simili a noi comuni mortali di quanto si possa essere portati a credere.

E chi di noi non ha mai sbagliato un taglio di capelli? Chi di noi non ha mai creduto di essere originale e figo sfoggiando un acconciatura mai vista per poi coprirsi solo di ridicolo?

Questa è la classifica delle peggiori acconciature che la storia del calcio ricordi: ho selezionato le acconciature più improbabili e poi ho chiesto alla mia ragazza, Sara, di ordinarle per bruttezza.

Il risultato sarà ovviamente soggettivo, e quanti di voi si troveranno in disaccordo potranno sempre dire la propria opinione nei commenti. E ora…via con l’orrore!

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Robin Friday, il più grande calciatore che non avete mai visto

Un talento eccezionale, britannico, con un innato istinto autodistruttivo e problemi di dipendenza. Qualsiasi appassionato di calcio, di fronte a questi indizi, potrebbe fare istintivamente il nome di George Best, personaggio straordinario su cui sono stati scritti libri e girati film. Quasi nessuno, invece, penserebbe a Robin Friday, una specie di leggenda urbana del calcio che a differenza del più illustre collega non ha mai giocato in massima serie, figuriamoci vincere il Pallone d’Oro.

Eppure la sua storia, in qualche modo, è entrata comunque nel mito. Diventando una specie di cult tra appassionati grazie a uno splendido libro del 1998, “The Greatest Footballer You Never Saw”, che raccontava vita e imprese di questo eroe di provincia attraverso racconti e ritagli di giornale. La vita di una vera e propria rockstar di periferia, un campione che non riuscì a essere tale. O forse non lo volle, che importa. Questa è la sua storia. La storia di Robin Friday, “il più grande calciatore che non avete mai visto”.

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Il Miracolo di Berna: recensione, trama e cast

Il “Miracolo di Berna” è il nome con cui è passata alla storia una delle partite più leggendarie di tutti i tempi. Appunto un vero e proprio “miracolo sportivo”, la finale dei Mondiali di calcio di Svizzera del 1954 rappresentò una vera e propria “sliding door” nella storia della disciplina, segnando la nascita della Germania (Ovest) come potenza calcistica. Inevitabile che dunque potesse essere oggetto di una sceneggiatura cinematografica.

È quanto accade nel 2003, quando il regista tedesco Sönke Wortmann trasforma uno degli avvenimenti più importanti nella storia del calcio in un film decisamente riuscito, destinato ovviamente a un pubblico di calciofili ma che può essere apprezzato anche da un pubblico più eterogeneo. Un’opera che abbina valori sportivi e umani, con questi ultimi che recitano un ruolo preponderante. Non un film sul calcio, dunque, ma un film CON il calcio come filo conduttore.

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Il Miracolo di Berna, spartiacque tra due ere

Quel 4 Luglio del 1954, i giocatori della Germania Ovest fissavano il campo nei momenti precedenti la partita con ferrea determinazione. Non sarebbero stati carne da macello, ma anzi avrebbero tentato di riscrivere la storia in una partita, “il miracolo di Berna”, che sarebbe entrata nella storia.

Erano ben 9 anni che l’inno nazionale non veniva suonato dal vivo in nessuna occasione, 9 anni da quando il Nazismo era stato sconfitto e in cui il popolo tedesco aveva cercato faticosamente di ricostruire sulle macerie dei bombardamenti alleati.

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Ma come ti vesti? – Flop 11: Le peggiori maglie della storia del calcio

Ci sono maglie che rappresentano la storia di questo sport.

La maglia dell’Uruguay, primo Campione del Mondo della storia, con i lacci bianchi intorno al colletto. La maglia dei Celtic Glasgow, da sempre strisce orizzontali bianche e verdi, una rarità nel calcio.

Ci sono maglie semplici ma leggendarie, quella arancione dell’Olanda di Crujiff, quella verde-oro che il Brasile adottò all’indomani del Disastro del Maracanà (ne parleremo), e ci sono quelle rare, come la maglia del Casale, nera con una stella bianca sul petto.

La maglia sta ad un calciatore come la divisa ad un soldato, sta ad un club come la bandiera ad una patria. I tifosi amano la maglia, e chiedono sempre ai loro giocatori di fare altrettanto.

Ma a volte ci sono maglie così brutte che nessuno può fare altro che ridere. Maglie che, forse, possono condizionare una stagione, perché la divisa fa tanto, portarla con orgoglio anche: e come si possono portare con orgoglio certe divise?

Ispirato da certe novità calcistiche, ecco a voi le peggiori maglie di sempre secondo me.

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Nii Lamptey, il Pelé perduto

Molte qualità servono per affermarsi nel calcio. Spirito di sacrificio, predisposizione fisica, capacità tattica e conoscenza dei fondamentali, unite a un po di fortuna, possono portarti ad essere un buon giocatore.

Ma senza il Talento, quello con la T maiuscola, non sarai mai un fenomeno. E’ il talento, una qualità innata, a fare la differenza tra essere un buon calciatore ed una stella mondiale. Il talento puro, quello che non si insegna, quello che non si spiega.

Nii Odartey Lamptey di Talento ne aveva da vendere. Eppure, dopo un inizio sfolgorante, la sua carriera è diventata via via sempre piu’ tortuosa, sempre piu’ lontana dai percorsi calcistici che contano, fino a fare sbiadire il suo nome, che oggi è conosciuto da pochi appassionati.

Questa è la storia di un ragazzo che da piccolo superò mille difficoltà grazie al suo talento ma che poi non riuscì a diventare un uomo, finendo per essere risucchiato nella periferia estrema del pallone. Un ragazzo che, però, non si è mai arreso.

Meteora o sopravvissuto? Questa è la storia di Nii Lamptey.

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La recensione di Jimmy Grimble

La storia del calcio al cinema è piena di esempi di film dal budget altisonante che si rivelano incredibili flop. Allo stesso tempo, però, c’è qualche raro esempio di come, con mezzi tutto sommato ridotti, si possa narrare una storia con poche pretese con il risultato finale di avere un film gradevole e che scorre via che è un piacere.

È questo il caso della commedia inglese “Jimmy Grimble” (“There’s only one Jimmy Grimble”, in originale), film del 2000 diretto dall’allora esordiente John Hay ed ispirato al celebre, in Inghilterra, fumetto “Billy’s Boots”, di cui riprende grosso modo la storia.

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La recensione di Goal! – La Trilogia

Quando ero piccolo pensavo che, se c’era un genere che avrebbe reso bene al cinema, questo era il calcio: del resto questo è lo sport più popolare al mondo, narra di sudore, di virtuosismi, di gioco di squadre. Appunto storie di uomini e di calcio, con tutti i possibili risvolti.

Eppure raramente ho visto un bel film di calcio. Crescendo (sono del 1979) vedevo crescere intorno a me la tecnologia, e la fiducia continuava ad esserci. “Vedrai che ora, con le tecniche di adesso, faranno…” e niente, siamo rimasti più o meno al punto che non esiste un film di calcio universalmente bello. E lo dico a ragion veduta eh, visto che me li sono praticamente sciroppati tutti!

Ecco Cinema nel Pallone!

E’ per questo motivo che nasce la rubrica “Cinema nel Pallone”, nella quale raccoglierò tutte le mie recensioni sui film di calcio visti in questi anni. Cercando di raccontarvene la trama, i fatti storici a cui si ispirano – se presenti – e spiegarvi perché guardarli. O perché evitarli.

Naturalmente sono un grande appassionato di calcio ma, è bene premetterlo, non sono un esperto di cinema e parlerò a titolo personale, per cui se vi andrà di fidarvi bene…se no potrete benissimo dirmi la vostra in merito nei commenti. Cominciamo?

Ispirandomi ad Alan Shearer (l’accostamento non è casuale) voglio esordire con una tripletta, e quindi in questo lungo articolo vi parlerò della trilogia di “Goal!”, il cui primo film uscì tra squilli di tromba, il secondo nel silenzio generale e il terzo…beh, voi sapevate che ne esisteva un terzo???

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