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2 luglio 1916: storia della prima Copa Amèrica

Il 4 luglio 2015 il Cile, superando in finale ai rigori l’Argentina, ha conquistato la 44^ edizione ufficiale della Copa América, il trofeo che indica quale sia la Nazionale più forte di tutto il Sud America.

Questa manifestazione compirà il secolo di storia il prossimo anno, ed è quindi il trofeo calcistico per rappresentative nazionali più antico al mondo. La prima edizione si svolse in Argentina, dal 6 al 17 luglio del 1916, e vide la partecipazione delle quattro nazionali allora esistenti.

Come sempre, quando si parla del calcio dei pionieri, si parla di uno sport profondamente diverso da quello di oggi – soprattutto nell’organizzazione – e tuttavia già indicativo di come il football fosse passato in poco tempo da passatempo per pochi marinai e operai inglesi a gioco delle masse e passione popolare.

In Sud America, più che nel resto del mondo che pure seguì lo stesso percorso, il distacco dallo stile dei “maestri” britannici fu secco e deciso, quasi che popoli orgogliosi e dalla forte identità come gli argentini, i brasiliani e gli uruguaiani volessero creare un proprio stile calcistico.

Prima della prima

A dire la verità, prima dell’edizione del 1916, si era già svolto un torneo tra rappresentative nazionali del Sud America: era successo sempre in Argentina, nel 1910, in un torneo passato alla storia come “Copa Centenario Revolución de Mayo” istituito per festeggiare il centenario della dichiarazione d’indipendenza argentina.

A vincerla erano stati i padroni di casa, prima federazione calcistica sorta in Sud America (1893) il cui campionato era ancora ai tempi dominato dallo spirito british dell’Alumni, squadra che raccoglieva studenti ed ex-studenti della “Buenos Aires English High School”.

Squadra dominante degli anni dilettantistici del calcio argentino, si sarebbe sciolta nel 1912 dopo aver vinto dieci campionati consecutivi per via dello spirito dilettantistico imperante che non le permetteva di sostenere le spese via via necessarie in un calcio in evoluzione.

Nel 1910 il club aveva dato alla Nazionale il suo miglior giocatore, Arnold Pencliffe Watson Hutton, figlio del preside della scuola, e il miglior marcatore del torneo si era rivelato Juan Enrique “Harry” Hayes, centravanti del Rosario Central. Gli argentini avevano vinto il trofeo sconfiggendo nell’ultima gara, e con il rotondo punteggio di 4-1, l’Uruguay: entrambe le squadre avevano avuto agilmente la meglio sul Cile, che a dire la verità prima di allora neanche aveva mai formato una selezione nazionale e che non lo avrebbe poi fatto fino al 1915.

Un vero torneo dei pionieri

La “Copa Centenario Revolución de Mayo” del 1910 è da molti sudamericani considerata la prima edizione della Copa América, tuttavia la CONMEBOL (fondata proprio nel 1916) non l’ha mai riconosciuta come tale. Per arrivare alla prima edizione ufficiale devono passare sei anni: nel frattempo il calcio in Sud America è cambiato, lo stile è diventato più tecnico e meno fisico e così come lo stile si sono perse anche le tracce dei tanti immigrati europei che hanno contraddistinto i primi anni del fútbol.

Si tratta comunque, come detto, di un calcio ancora in fase embrionale, soprattutto a livello di organizzazione: il Brasile ad esempio ha faticato non poco a risolvere i contrasti tra la “Federação Brasileira de Sports” e la “Federação Brasileira de Futebol”, e quando vi è infine riuscito si è trovato a dover sostenere il viaggio in Argentina in treno e non in nave.

Quest’ultima è destinata ad ospitare la delegazione diplomatica che – incredibilmente – nelle vesti di Ruy Barbosa non vede di buon occhio i calciatori (Barbosa li definiva “dei vagabondi”) e rifiuta di compiere il viaggio con loro.

Anche in Argentina le due federazioni calcistiche (FAF e AAF) si sono riunite appena nel 1914 dopo anni di screzi e di campionati separati, pur se la squadra è grosso modo ancora quella del 1910 – compreso il bomber Hayes – mentre il Cile addirittura è arrivato a formare una propria federazione solo l’anno precedente, nel 1915, e i suoi giocatori, benché mostrino buon talento, non hanno alcuna esperienza internazionale, essendo il calcio cileno di quegli anni ridotto a tornei addirittura di dimensione cittadina.

Uruguay, la nascita di un mito

L’Uruguay si appresta invece a diventare la squadra dominante non solo del Sud America, ma del mondo intero, come poi dimostrerà alle Olimpiadi del 1924 e del 1928 e poi nella prima edizione della Coppa Rimet: il calcio nei dintorni di Montevideo è già una cosa terribilmente seria, Nacional e Peñarol hanno da poco iniziato una rivalità che dura tutt’oggi, e il Paese intero è in un momento a dir poco florido, economicamente e culturalmente.

È stato esteso il diritto di voto alle donne, per esempio, ed è stata vietata la schiavitù, cosa che ha fatto fuggire nel Paese dal vicino Brasile i tanti schiavi arrivati dall’Africa nel secolo precedente, i cui figli e nipoti sono diventati dei veri assi nello sport: il più grande di tutti, all’epoca, è Isabelino Gradín, stella dell’attacco uruguaiano e del Peñarol, la cui pelle nera spicca in un’epoca in cui i calciatori di colore sono come mosche bianche.

Velocissimo – fu a più riprese campione sudamericano dei 200 e dei 400 metri – Gradín giostra dietro al centravanti in compagnia dell’eccezionale trio offensivo del Nacional composto da Brachi, Somma e “El loco” Alfredo Ángel Romano, uno dei migliori calciatori di sempre così come il centravanti di quella “Celeste”, José Piendibene.

Compagno di Gradín nell’attacco del Peñarol e centravanti la cui classe e prolificità sotto porta sono pari solo all’enorme sportività: in tutta la carriera segnerà oltre 300 reti senza mai esultare per rispetto verso l’avversario.

Primi lampi di classe

Se ci sono dubbi su quale sia stata la prima edizione della Copa América, non ve ne sono affatto su chi sia stato il primo marcatore di questa competizione: è proprio José Piendibene, che già aveva aperto le danze nella “Copa Centenario Revolución de Mayo” del 1910 e che si ripete nel 1916, vittima sempre quel Cile che pur vantando tra le proprie fila il basco Ramòn Unzaga (inventore della rovesciata, che poi sarebbe stata “perfezionata” dal connazionale David Arellano) è ancora una squadra “materasso” e che inutilmente presenta ricorso per il fatto che l’Uruguay schieri tra le sue fila “due neri africani” come appunto Gradín e Delgado.

Dopo essere stato sconfitto per 4 a 0 dalla “Celeste”, il Cile raccoglie un’altra sonora scoppola dai padroni di casa dell’Argentina, che debuttano con un bel 6-1 in cui vengono segnate tre doppiette, una di queste su rigore dal corpulento difensore Juan Domingo Brown, tra i primi rigoristi specializzati della storia.

Il Brasile, arrivato in ritardo e provato e inoltre era ancora lontano dall’essere una squadra fortissima come sarebbe diventato in seguito, gioca contro il Cile – che così conclude il suo torneo – e pareggia 1-1, venendo raggiunto a pochi minuti dalla fine da Salazar dopo aver condotto grazie al gol di Demósthenes.

Orgoglio brasiliano

In rapida successione (3 gare in sei giorni) i brasiliani giocano le loro tre partite, mettendoci comunque tanto orgoglio. Nella sfida tra Argentina e Brasile accade un fatto davvero curioso e che la dice lunga sulla dimensione del football dell’epoca rispetto a quello odierno: all’ultimo momento i padroni di casa devono rinunciare ad Alberto Ohaco, strepitoso bomber del Racing Club (244 reti in 278 partite in carriera) che ha un improrogabile impegno di lavoro.

Al suo posto viene schierato il giovane José Laguna, punta dell’Huracàn venuto allo stadio come tifoso. Sarà proprio lui a portare in vantaggio l’Argentina, raggiunta però da una rete di Alencàr. I brasiliani (nelle cui fila è presente anche Amilcar Barbuy, che in seguito sarà una stella del calcio italiano e allenatore della famosa “BrasiLazio”) dimostrano di essere in crescita perdendo di misura (2-1) contro l’Uruguay, beffati a dieci minuti dalla fine dopo aver messo alle corde la “Celeste” grazie alla classe del loro formidabile centravanti mulatto Arthur Friedenreich.

El Tigre

Prima stella assoluta del calcio brasiliano, mulatto figlio di un imprenditore tedesco e di una donna brasiliana, si dice che per giocare – ai tempi in Brasile il calcio era vietato a chi era di colore – si tingesse la faccia con la crema di riso e utilizzasse molta gelatina per lisciare i capelli crespi.

Soprannominato “El Tigre”, goleador sopraffino, Friedenreich fu una vera “rockstar” dell’epoca: fumava costosi sigari, beveva raffinato cognac, non perdeva una serata di cabaret e si prestava alle pubblicità. In carriera segnò circa un migliaio di reti, non sbagliò mai un rigore e giocò fin’oltre i quarant’anni.

L’orgoglio brasiliano, capace di strappare un punto all’Argentina padrona di casa e largamente favorita, porta così alla gara finale tra argentini e uruguaiani con questa situazione: l’Uruguay conduce con 4 punti (2 vittorie), mentre l’Argentina padrona di casa insegue con 3: Brasile e Cile hanno concluso il loro torneo conquistando il terzo (2 punti) e l’ultimo (1 punto) piazzamento.

Una “finale” annunciata

La partita decisiva si dovrebbe svolgere il 16 luglio del 1916, ma una folla incredibile si presenta allo stadio “Gymnasia y Esgrima” di Buenos Aires. Bagarini e falsari senza scrupoli, nei giorni precedenti, hanno venduto molti più biglietti di quelli disponibili, e in più qualcuno ha sparso la voce che per la finale l’entrata è gratuita.

Così ben 40.000 persone si presentano fuori da un impianto che può contenerne a stento la metà e pretendono di entrare, accalcandosi anche a bordo campo. Fino a quando dopo 5 minuti di gioco – e dopo parte delle tribune in legno ha addirittura preso fuoco – l’arbitro della gara, il CT del Cile Carlos Fanta, sospende la sfida.

Si riprende il giorno dopo, nell’Estadio “Colón y Alsina” di Avellaneda, e nonostante la grande pressione che l’Argentina pratica per tutta la gara il risultato non si schioda dallo 0-0, grazie anche ai prodigiosi interventi di Cayetano Saporiti, portiere della “Celeste” davvero in giornata di grazia.

Per la delusione del pubblico di casa l’Uruguay vince la prima edizione della Copa América, ai tempi chiamato “Campeonato Sudamericano de Football”.

Curiosità: nessun trofeo viene alzato, visto che sarà creata una coppa solo dall’edizione successiva, la quale sarà comunque ancora appannaggio dei fortissimi uruguaiani, la cui epoca d’oro è appena cominciata.

Negli anni a venire la “Celeste” diventerà la squadra più forte del mondo.

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