“È certo, andrò in Italia nel fine settimana per firmare col Milan. Quella che ho giocato è stata la mia ultima partita al Tiro Federal.” Parola di Juan Mauri, fratello maggiore di quel José Mauri che si è messo in mostra come uno dei giovani più interessanti della scorsa Serie A distinguendosi nel disastratissimo Parma nonostante un’età verdissima.
anni 2000
Viktoria Berlino VS FC Hanau: “la Finale del Secolo”
Quando gli inglesi cominciarono ad esportare il football al di fuori del Regno Unito, nella madrepatria degli inventori del gioco si disputava già da qualche anno il primo campionato di calcio ufficiale al mondo.
Naturale che negli altri Paesi toccati dai marinai e commercianti britannici il gioco prendesse piede a poco a poco, e che prima che sorgessero le varie federazioni calcistiche ci volle un tempo più o meno lungo.
Iwuchuckwu Amara Tochi, morto inseguendo un sogno
Diventare un calciatore professionista è il sogno di ogni bambino, a maggior ragione quando questa è l’unica strada che può portarti via da una realtà fatta di miseria, violenza e soprusi.
Giocare a calcio era anche il sogno di Iwuchukwu Amara Tochi, bambino nigeriano cresciuto in mezzo a mille difficoltà e che tuttavia, inseguendo un pallone aveva dimostrato di saperci fare.
Forse non abbastanza per inseguire un posto nei campionati più importanti al mondo, ma tanto da poter ambire di giocare nei tornei del sud-est asiatico, dove non circolano i milioni ma dove si può comunque diventare dei professionisti.
Non poteva immaginare che sarebbe andato incontro alla morte, vittima della sua ingenuità e di uomini senza scrupoli.
Ariel Huguetti, “il Maradona di Barrio Billinghurst”
“El Diego y Ariel, uno solo. Suerte 10.”
Difficile che a un turista capiti di passare per Barrio Billinghurst, periferia povera e degradata di Buenos Aires. Chi visita l’Argentina vuole vedere altro, non certo posti dove la disperazione e la miseria la fanno da padrone.
Ma se qualcuno proveniente da fuori dovesse capitare da quelle parti, potrebbe forse notare una scritta su un muro, ormai scolorita e dal significato non del tutto immediato.
El Diego y Ariel, uno solo. Suerte 10.
E potrebbe domandarsi chi fosse mai questo Ariel, che qualcuno ha osato paragonare a nientemeno che “El Diez”, il Dio del calcio, Diego Armando Maradona. Forse chi abita a Barrio Billinghurst potrebbe dirgli chi è stato a realizzare quella scritta, persino a chi era dedicata. E forse – ma solo se questo curioso turista fosse molto fortunato – potrebbe anche dirgli chi è adesso.
Si chiamava Ariel, e per molti era la reincarnazione di Diego Armando Maradona, il più forte calciatore della storia. Stesso sinistro che incantava, stessa fama precoce, fin da bambino.
FLOP 11: I peggiori trasferimenti di sempre della Serie A
Vero che ormai nel calcio frenetico del 2000 le trattative tra i club durano tutto l’anno, ma è d’estate che il calciomercato impazza, è in quei giorni che i tifosi cominciano a sognare e a disegnare le proprie squadre.
Nel giorno della chiusura del calciomercato ho pensato (bene?) di stilare una mia personale classifica dei peggiori affari di calciomercato mai conclusi in Serie A.
Naturalmente è una classifica personale e scritta di getto, per cui sentitevi liberi di commentare e dire la vostra nella mia Pagina Facebook.
Cherno Samba, “quello di Championship Manager”
“Dovevo ordinare un nuovo telefono al mio gestore. Ho chiamato, e quando mi hanno detto che avrei dovuto attendere due o tre mesi ho pensato ‘nessun problema!’.
Poi il ragazzo mi ha chiesto come mi chiamassi, ho detto ‘Cherno Samba’. Sorpreso mi ha detto ‘Quello di Championship Manager? Lo avrà domani allora!’…”
“Quello di Championship Manager”. Ecco chi è, nell’immaginario colletivo dei videogiocatori di fine anni ’90, Cherno Samba. Il miglior giocatore del mondo, o almeno questo secondo i programmatori di “Championship Manager: Season 00/01”, che avevano reso l’allora quindicenne originario del Gambia il miglior prospetto di tutto quell’universo virtuale.
Raffaele De Martino, di corsa contro la sfortuna
Raffaele De Martino sembrava avere davanti a se un futuro da predestinato quando, il 7 novembre del 2004, aveva fatto poco più che maggiorenne il suo esordio in Serie A con la maglia della Roma.
Era arrivato nella società giallo-rossa nel 2000, a 14 anni, seguendo un percorso che dall’Invicta Agro – dove aveva dato i primi calci – lo avrebbe sicuramente portato ai grandi palcoscenici, sulla scia di Daniele De Rossi e Alberto Aquilani.
Nikon El Maestro, il campione-bambino
A chiunque sia capitato di passeggiare per le Ramblas di Barcelona, in Spagna, sarà capitato di vedere tra i numerosi artisti di strada presenti alcuni veri e propri fenomeni calcistici, personaggi capaci di eseguire un numero impressionante di palleggi, fenomeni del numero ad effetto.
La domanda, che spesso sorge in questi casi all’osservatore casuale, è il perché questo talento venga usato per gli show in strada e non all’interno di uno stadio, in un contesto professionistico magari. La risposta – che ogni vero appassionato di calcio conosce – è che nel calcio il talento è solo uno degli ingredienti necessari per essere un buon calciatore, e spesso neanche quello più importante.
La prova? La storia di Nikon Jevtić, meglio noto al mondo con il nome di Nikon El Maestro: un decennio fa il mondo del web impazziva per il nuovo fenomeno del calcio serbo, prospettandogli un futuro da fenomeno per via di un talento cristallino e innegabile.
Il prossimo 3 giugno, invece, Nikon compirà 22 anni e lo si può già considerare un ex-calciatore.
Mineirazo – Poca gioia, toda tristeza
E chi se l’aspettava una scoppola così. Nessuno. Per quanto la Germania facesse paura, e fosse anche superiore sulla carta a dirla tutta. E mancava Neymar, e mancava Thiago Silva.
Però c’era il pubblico. Un intero Paese a spingere il Brasile verso la ‘Hexa’, il sesto titolo mondiale. Da conquistare appunto davanti ai propri tifosi, che da più di sessant’anni attendevano di cancellare il ‘Maracanazo’.
Kazu Miura, altro che meteora
Il Dizionario Italiano definisce il significato di “Meteora”, quando si parla di artisti o uomini di sport, come “detto di persona che ha avuto grande fama per poco tempo”.
Per molti appassionati di calcio del Belpaese, Kazuyoshi Miura, primo giapponese a calcare un campo di Serie A, è stato una meteora: una fugace esperienza, appena una stagione al Genoa, e poi la scomparsa dai radar.
Molto si ironizzò su di lui e sulle sue presunte capacità tecniche, e prima dell’arrivo di Hidetoshi Nakata – il miglior calciatore proveniente dal Sol Levante mai visto – si continuò a pensare ai calciatori giapponesi come a delle vere e proprie macchiette, degli esaltati cresciuti con il mito di “Holly & Benji” senza una vera formazione tecnica.
Eppure per molti appassionati nipponici Kazu Miura è stato il più grande calciatore giapponese di sempre, e questa è la sua storia.
Aleksandar Đurić, la “Goal Machine” di Singapore
La via per l’affermazione, nel calcio, segue a volte strade misteriose e mai battute. Ho raccontato tempo fa dell’avventurosa carriera di Lutz Pfannenstiel, portiere giramondo capace di giocare in tutti e sei i Continenti calcistici.
Una storia simile, anche se di fatto avvenuta principalmente in un solo Paese, è quella di Aleksandar Đurić, che da profugo durante la Guerra dei Balcani è riuscito a diventare la più grande leggenda di un esotico paese asiatico.
Questa è la storia di un uomo scopertosi calciatore, nato nella ex-Jugoslavia e che poi, anni dopo, ha trovato una nuova patria a Singapore, arrivando addirittura a indossare la fascia di capitano della Nazionale asiatica.
Allez Calais: l’incredibile storia dei dilettanti che conquistarono la Francia
Chi si ricorda del Calais?
Quando in Italia ci lamentiamo dello scarso appeal calcistico che ha la nostra Coppa Nazionale dimentichiamo spesso che basterebbe ben poco per restituire dignità a questo trofeo.
Il fatto che venga snobbato da media e tifosi è una conseguenza diretta dello scarso interesse che i nostri club per primi provano per quello che poi, al termine della stagione, è pur sempre il secondo trofeo nazionale.
L’alto numero di partite che si giocano in un’annata calcistica non può poi essere realmente considerata una giustificazione per quelle squadre (anche di bassa classifica) che usano la Coppa Italia per dare spazio alle riserve mai utilizzate in campionato, visto che in molti paesi evoluti calcisticamente di coppe ce ne sono addirittura due o più.
Si tratta di un mero calcolo economico: una squadra anche di medio livello trae più soldi da un buon piazzamento in campionato (con magari una qualificazione in Europa) piuttosto che dal raggiungimento di un turno finale di Coppa.
È però anche questione di cultura e di tradizione, e resto dell’avviso che bisognerebbe donare alla nostra Coppa Italia un senso, in un modo o nell’altro.
In altri paesi, come detto, la Coppa Nazionale ha tutto un altro significato, e tutt’altro fascino.
Ad esempio in Francia, dove nel 2000 accadde un piccolo miracolo calcistico: protagonista una minuscola squadra di dilettanti di un meraviglioso paese sulla Manica, il Calais.