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Quei giorni a Sanremo tra canzoni, fiori e la “Grande Ungheria”

Se dici Sanremo è naturale che il pensiero corra al Festival della canzone italiana, che qui si svolge dal 1951. Piaccia o non piaccia, rimane un evento seguitissimo da milioni di spettatori, un’importante kermesse che per quasi una settimana ogni anno mette la cittadina ligure – anche nota come “città dei fiori” – al centro della cronaca italiana.

Eppure questa incantevole località, che vanta anche uno dei quattro Casinò presenti in Italia, ha anche un’importante tradizione sportiva.

Qui si svolge infatti sin dalla fine degli anni ’20 il Rally di Sanremo; qui arriva inoltre la “Classicissima” del ciclismo, la più importante corsa di un giorni in Italia, la “Milano-Sanremo”, vinta in passato da campioni assoluti della disciplina. In tono minore, ma nemmeno troppo, il calcio.

Dal 1947 si gioca il “Torneo Internazionale di Sanremo”, organizzato dai Carlin’s Boys fondati dal grande allenatore Carlo Carcano, figura mitica del calcio italiano capace di vincere quattro Scudetti consecutivi con la Juventus prima di essere da questa allontanato per via di una presunta omosessualità che ovviamente il Regime dell’epoca non poteva accettare e che ne causò l’oblio.

Il torneo, che lo scorso anno è stato vinto dall’Inter, è spesso servito in passato per mostrare al mondo i futuri campioni di domani.

La protagonista della nostra storia è però la locale squadra cittadina, l’Associazione Sportiva Dilettantistica Sanremese. Attualmente milita nel Girone A della Prima Categoria Liguria, quarto livello del calcio dilettantistico italiano, ottavo assoluto, ma è la rifondazione della gloriosa US Sanremese Calcio 1904, fallita nel 2012 dopo oltre un secolo di storia.

Una storia, a suo modo, importante. Sanremo non è mai stata in Serie A, ma alla fine degli anni ’30 i bianco-azzurri matuziani militano in Serie B, disputando anche dei buoni campionati. Successivamente furono numerosi i tentativi di ritrovare la gloria perduta, ma in un modo o nell’altro la promozione dalla Serie C non arrivò più, ed il calcio locale cominciò quindi a nutrirsi di passione, dei ricordi delle vecchie imprese e di un inaspettato pizzico di magia.

La fuga dei “mitici magiari”

Questo accadde quando il 2 gennaio del 1957 la Sanremese disputò quella che forse è la partita più importante della sua storia. Mentre infatti in città si sognava per l’ennesima volta una promozione in B e ci si preparava per un’edizione del Festival che sarebbe passata alla storia più per le gaffe della soubrette Marisa Allasio che per la canzone vincitrice, nell’Est dell’Europa erano avvenuti importanti fatti politici: tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1956 migliaia di ungheresi si erano riversati nelle piazze in quella che sarebbe poi passata alla storia come “la Rivoluzione Ungherese”.

L’obbiettivo era distaccarsi dal controllo dell’Unione Sovietica, che intervenne in appoggio del regime in carica soffocando le proteste nel sangue. Migliaia furono i morti, decine di migliaia gli ungheresi che approfittarono dei tumulti per scappare da un Paese che non dava più alcuna libertà ai suoi cittadini.

Tra questi anche l’intera squadra dell’Honvéd di Budapest, la squadra dell’esercito e principale serbatoio della Nazionale che appena due anni prima era stata sconfitta in finale ai Mondiali di Svizzera. I “mitici magiari”, com’erano chiamati ai tempi, si trovavano all’estero: avevano giocato in campo neutro a Bruxelles contro l’Atlethic Bilbao, finendo per essere sconfitti ed eliminati dalla Coppa dei Campioni.

La gara, che era stata viziata da un infortunio al portiere – in un’epoca dove non esistevano ancora sostituzioni – si era giocata in Belgio proprio per i tumulti che attraversava l’Ungheria, e fu proprio in seguito alle notizie poco rassicuranti provenienti dal Paese che i giocatori della squadra dell’esercito, l’Honvéd – che nel frattempo erano stati raggiunti dai propri familiari – decisero di non tornare in patria.

Arrivo a Sanremo

Mentre studiavano il da farsi e attendevano il corso degli eventi, per mantenersi in forma organizzarono alcune tournée in giro per l’Europa, e una delle loro prime tappe fu proprio l’Italia. Dove appena giunti furono contattati da una piccola squadra ligure, interessata ad affrontarli in amichevole. Era proprio la Sanremese.

Fu così che il 2 gennaio del 1957 la mitica Honvéd scese in campo contro gli eroi locali. Da una parte un pugno di giocatori che a fine stagione sarebbero finiti a metà classifica nella Serie C italiana, dall’altra la base della leggendaria squadra capace di distruggere persino i maestri inglesi.

Da una parte quindi Curti, Borriello, Rivoire, Voglino, Novi, Cordone, Tortonese, Recagni, Littarelli, Turconi, Rao; dall’altra campioni del calibro di Grosics, Lóránt, Bozsik, Budai, Czibor, Kocsis e soprattutto lui, il mitico Ferenc Puskás.

Sette note ungheresi

Campione leggendario, uno dei più grandi mai espressi dal calcio nella sua storia, Puskás era così forte che si diceva che i portieri avversari si preoccupassero appena arrivava a 30-35 metri da loro.* Dotato di un tiro terrificante, aveva anche grande altruismo e capacità di costruire il gioco.

Non era una punta classica, anche se in carriera aveva segnato fino a quel giorno più di un gol a partita: 84 in 85 gare in Nazionale, 352 in 341 incontri con la maglia dell’Honvéd.

Quel giorno lui e i compagni presero la gara un po’ sotto gamba, o forse furono semplicemente buoni con i volenterosi ed entusiasti avversari, dal canto loro emozionati come non mai di dividere il campo con certi leggendari campioni: i magiari vinsero 7-4, dando comunque spettacolo e suscitando ammirazione nei presenti, che si stropicciavano gli occhi di fronte a giocatori di tale – enorme – spessore.

Puskás andava per i trent’anni, all’estero aveva scoperto la libertà e non solo, anche grappa, whisky e cognac. Era ingrassato di più di dieci chili, ma intendiamoci…era sempre Puskás. In Italia lui e i compagni si trovarono bene, e sarebbero anche rimasti.

Fu così che i sanremesi ammirati chiesero a questo marziano di giocare con loro, di fermarsi in città. Impossibile?

Forse, ma si dice che Ferenc Puskás, uno dei più grandi giocatori di sempre, ci pensò su diverse volte, incantato dalla città, conquistato dal calore di quel popolo tanto affamato di grandezza.

Addio Italia

Non se ne fece niente. Un po’ perché l’Italia non riconosceva ai giocatori – che erano a tutti gli effetti dei disertori – il permesso di soggiorno, un po’ perché mano a mano che i fuochi in Ungheria si spegnevano i giocatori tornarono in patria.

Puskás no, lui fu contattato dal Real Madrid (che con tutto il rispetto per la Sanremese…) dove andò a smaltire la pancia e a fare ancora incetta di trofei, sfidando il Barcelona dove erano invece finiti Czibor e Kocsis.

Era nella fase calante della carriera: segnò “appena” 156 reti in 180 partite e conquistò 6 campionati spagnoli e 3 Coppe dei Campioni oltre al rispetto del grandissimo Alfredo Di Stefano, che lo chiamava “Il Professore”*.

A Sanremo si diceva che aveva promesso di tornare, un giorno, e anche se questo non avvenne c’è da scommetterci che dentro di lui rimase per sempre il ricordo di quei pomeriggi italiani, di quelle partite a pallone, le mangiate e le bevute e la bellezza di questa incantevole città.

Dove il calcio non sarebbe mai neanche lontanamente tornato grande come quel 2 gennaio del 1957, quando un campione ungherese conquistò Sanremo come neanche nessun fiore e nessuna canzone ha più saputo fare.


*aneddoti tratti da “Non gioco più, me ne vado: gregari e campioni, coppe e bidoni” di Gianni Mura, pagine 226-227-228.

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