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Il Miracolo di Berna, spartiacque tra due ere

Quel 4 Luglio del 1954, i giocatori della Germania Ovest fissavano il campo nei momenti precedenti la partita con ferrea determinazione. Non sarebbero stati carne da macello, ma anzi avrebbero tentato di riscrivere la storia in una partita, “il miracolo di Berna”, che sarebbe entrata nella storia.

Erano ben 9 anni che l’inno nazionale non veniva suonato dal vivo in nessuna occasione, 9 anni da quando il Nazismo era stato sconfitto e in cui il popolo tedesco aveva cercato faticosamente di ricostruire sulle macerie dei bombardamenti alleati.

Era una squadra, quella Germania Ovest, arrivata alla Finale della V^ Edizione della Coppa del Mondo un po’ a sorpresa. Poteva contare su giocatori di indubbia qualità e su una solida organizzazione tattica, ma nelle prime decadi in cui il calcio si era diffuso in tutta Europa il movimento tedesco era rimasto sempre indietro, prendendo parte a due soli Mondiali e con risultati più che deludenti.

Certo, pioveva. E la pioggia era “il tempo di Fritz Walter”, il capitano di quella Germania, che si esaltava durante gli acquazzoni perché avendo contratto la malaria da piccolo era rimasto per sempre infastidito dal sole. Ma c’era anche da tenere conto degli avversari, probabilmente i calciatori più forti al mondo.

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I tedeschi normali e i “mitici magiari”

La fortissima Ungheria, la “Squadra d’Oro” (Aranycsapat) capace di giocare un calcio che, così bello, non era mai stato visto. Una squadra piena zeppa di fuoriclasse, che non perdeva da 4 anni e che in questo periodo aveva insegnato un nuovo tipo di calcio a tutta l’Europa.

Gli ungheresi erano ad un passo da un traguardo tanto prestigioso quanto apparentemente scontato: erano indubbiamente il team più forte del mondo, avevano dato vere e proprie lezioni di calcio anche ai maestri inglesi, rimarcando quei limiti che erano emersi anche quattro anni prima nel famoso “Miracolo sull’Erba”, quando chi di fatto aveva inventato il calcio era stato eliminato subito da un gol del lavapiatti haitiano Joe Gaetjens.

Si era trattato, comunque, di vittorie storiche: mai gli inglesi avevano perso in casa con una squadra continentale prima dell’Ungheria, che nel novembre del 1953 li regolò a Londra per 6-3. Feriti nell’orgoglio, i “maestri” avevano chiesto ed ottenuto una rivincita, a Budapest, appena due mesi prima di quella finale Mondiale: erano stati annichiliti per 7-1.

“La Squadra d’Oro”

Era una squadra, la “Squadra d’Oro”, costruita sul blocco della Honved: l’ossatura partiva dalla porta, dove giocava Gyula Grosics, ai tempi considerato uno dei migliori estremi difensori al mondo. In difesa, tra i tenaci Lantos e Buzansky agiva Jòszef Boszik, piedi da centrocampista abili a impostare la manovra da lontano.

A centrocampo giostrava Gyula Lòrànt, ideale cerniera tra il reparto arretrato e quello di mediana. In attacco, infine, vi erano Sandor Kocsis, straordinario finalizzatore noto come “la seconda testa più importante del Mondo dopo Winston Churchill” e “Testina d’Oro” per via della sua incredibile abilità nel gioco aereo, a discapito di una stazza non da gigante, e Ferenc Puskas, la stella della squadra ed uno dei più forti calciatori di sempre, capace di creare e di segnare con un abilità senza eguali al mondo in quel momento.

La squadra era impreziosita da Nandor Hidegkuti, la sola stella non proveniente dalla Honved e che, arretrata la sua posizione in campo di una decina di metri, aveva creato l’inedito ruolo di “centravanti arretrato” che dava a quell’Ungheria una manovra mai vista prima.

Disciplina contro talento

La Germania Ovest invece era un incognita. Non propriamente una “cenerentola” come poi gli storici avrebbero amato dipingerla, ma sicuramente non tra le squadre favorite del torneo nonostante alcuni buoni giocatori ed un fuoriclasse. Fritz Walter, stella del Kaiserslautern insieme al fratello Ottmar (con cui giocava insieme anche in Nazionale) e magari meno talentuoso dell’inarrivabile Puskas, ma dotato di grande intelligenza tattica.

Quella squadra era allenata da Josef “Sepp” Herberger, saggio e carismatico “santone” che era divenuto allenatore della Nazionale nemmeno quarantenne e che avrebbe poi guidato la Mannschaft  fino al 1964, per un totale di 28 anni. Aveva costruito una squadra forte fisicamente e soprattutto ben disciplinata, togliendo i talenti discontinui e preferendo affidarsi a chi davvero avrebbe garantito di dare il tutto per tutto per la causa.

Sarebbe comunque riduttivo citare solo Fritz Walter: anche il fratello Ottmar era un gran calciatore, un centravanti capace di segnare quasi 300 reti con il Kaiserslautern in circa 275 gare prima di un precoce ritiro dovuto a ferite da guerra con cui aveva convissuto per tutta la carriera.

E poi c’era “Der Boss“, “Il Capo”, Helmut Rahn, idolo dei tifosi del Rot-Weiss-Essen e unico talento discontinuo di quella squadra, ma capace di giocate incredibili nelle giornate di grazia. La sua presenza tra i titolari della finale era la meno scontata, ma Herberger decise di affidarsi anche alla fortuna: con Rahn in forma, c’era qualche possibilità in più per i tedeschi, seppure ovviamente per tutti l’Ungheria fosse la grandissima favorita.

La corsa verso la finale

Il cammino delle due squadre per arrivare in finale era stato molto diverso: mentre la Germania Ovest aveva sconfitto la Jugoslavia per 2-0 (partita in cui si sbloccò Rahn, in ombra nei gironi preliminari) e con un sonoro 6-1 un Austria semifinalista ma assai deludente dimostrando quindi molta fortuna con i sorteggi.

All’Ungheria erano toccate in successione Brasile e Uruguay, ovvero la squadra finalista e quella campione nell’edizione precedente: priva di Puskas, infortunato ad un ginocchio, la “Squadra d’Oro” aveva regolato le altre due grandi favorite in successione e con il medesimo punteggio: 4-2.

Contro il Brasile si era giocata una partita violenta e molto nervosa, una delle partite più incredibili nella storia dei Mondiali che sarebbe stata ricordata come “La Battaglia di Berna”: passata rapidamente in vantaggio di due reti (era caratteristica tipica di quell’Ungheria il partire subito a 100 all’ora per distruggere l’avversario), la selezione magiara aveva poi ecceduto in leziosismi fini a se stessi.

Questo aveva fatto infuriare gli avversari, che avevano prima accorciato le distanze con un netto rigore realizzato da Djalma Santos e poi avevano attaccato a testa bassa, non trovando il gol solo per la prestazione superlativa di Boszik in difesa e di Grosics tra i pali. Nel secondo tempo era arrivato poi un rigore inesistente per i magiari e gli animi si erano surriscaldati.

Il Brasile aveva ripreso a mulinare il suo calcio, Julinho aveva segnato un gran goal. Didì aveva colto un clamoroso palo e solo nel finale, in 9 contro 10 per via di tre espulsioni comminate dallo scadente arbitro inglese Ellis, l’Ungheria aveva chiuso l’incontro in contropiede con un gol (di testa) di Kocsis.

La più bella partita di sempre

La semifinale contro l’Uruguay campione in carica era stata più tranquilla dal punto di vista nervoso ma ancor più difficile sul piano tecnico: anche stavolta i magiari si erano trovati facilmente in vantaggio di due reti alla fine del primo tempo, e anche stavolta erano stati ripresi nel quarto d’ora finale da una doppietta di Juan Hohberg.

Nei tempi supplementari era salito però in cattedra Kocsis, che con una doppietta aveva chiuso i conti e una partita che ancora oggi molti grandi storici di calcio considerano “la più bella partita di calcio di sempre”. Emergevano due dati da questi confronti: l’Ungheria era letale nei primi minuti ma non sapeva difendersi con ordine, era una squadra capace solo di attaccare. Splendidamente però, visto che aveva pur sempre eliminato le due squadre più forti del mondo oltre a lei.

D’altro canto la Germania Ovest era invece pratica, tenace e ordinata, una squadra senza particolari punti deboli ma con pochi punti di forza ed un livello tecnico che nemmeno avvicinava quello dei magici magiari.

Prima sfida inutile…o quasi

Le due squadre, poi, si erano scontrate già nel girone eliminatorio di quello stesso Mondiale: era finita 8-3 per gli ungheresi, un risultato che aveva fatto stropicciare gli occhi all’opinione pubblica e che aveva causato anche l’infortunio di Puskas, che poi aveva saltato le successive gare con Brasile e Uruguay.

Il campione magiaro aveva infatti irriso più volte il suo avversario diretto, Werner Liebrich, fino a quando il difensore tedesco non si era vendicato con una violenta entrata che aveva azzoppato il mago ungherese. 

Puskas e Liebrich si scontrano nella partita del primo turno

Inoltre Herberger, da vecchia volpe, aveva schierato contro i magiari quasi interamente le seconde linee, preferendo concentrare le forze nelle altre partite di qualificazione piuttosto che sprecare gli uomini nel vano tentativo di vincere una partita impossibile.

Aveva così potuto studiare il gioco degli ungheresi, cosa impossibile da parte opposta visto che la Germania Ovest che giocò la finale era diversa, per oltre la metà degli uomini, da quella sconfitta agevolmente dai magiari nel girone eliminatorio.

Ferenc Puskas non era ancora recuperato al 100% dall’infortunio, ma non voleva mancare un giorno così glorioso per il suo Paese, così andò dal CT Sebes e chiese ed ottenne di essere schierato nella finale: si parlava pur sempre del più grande calciatore al mondo, anche con una gamba sola era sempre Ferenc Puskas.

Questo si pensa considerò Sebes quando decise di accontentare il suo campione, nonostante fossero diversi i giocatori in rosa che avrebbero preferito fare a meno del proprio giocatore più rappresentativo per timore di un nuovo infortunio e di giocare quindi in dieci. Ai tempi, infatti, non erano ancora permesse le sostituzioni, ma alla fine il cuore e la riconoscenza ebbero la meglio sulla ragione, e Puskas scese regolarmente in campo.

Il miracolo di Berna

Come detto, piove, quel 4 Luglio: il giorno precedente la partita, con la pioggia, Herberger ha portato i tedeschi ad allenarsi per far prendere loro confidenza con questa condizione climatica. Un altra mossa che si rivelerà azzeccatissima.

La partita comincia sotto gli occhi dell’arbitro inglese Ling, già selezionato per arbitrare lo scontro tra le due squadre avvenuto nel girone eliminatorio. La Germania sorprende gli ungheresi quando, invece di mostrare cautela contro la furia magiara, si spinge immediatamente in avanti.

L’Ungheria ci mette però poco ad organizzarsi, poi al 6° minuto passa: Czibor tira da fuori area, la palla viene deviata dalla difesa ma finisce sui piedi di Puskas, che solo davanti al portiere non sbaglia mai. Non lo fa nemmeno stavolta, e siamo 1 a 0. La “Squadra d’Oro” sembra aver subito spento la grinta degli avversari.

I tedeschi, come detto, hanno un gran carattere ma anche alcune lacune tecniche: due minuti dopo aver subito la prima rete, ecco il 2 a 0 ungherese: su un lancio lungo il difensore Kohlmeyer ed il portiere Turek si intendono male, impappinandosi e lasciando il pallone a Czibor, che a porta vuota deve solo appoggiare la palla in rete.

Siamo all’8° minuto, ed è già 2-0. Tutti cominciano a pensare che assisteranno ad un altra goleada.

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Rinascita tedesca!

Ed invece la Germania Ovest non si scoraggia, non si arrende. Helmut Rahn tocca forse la prima palla della sua partita e indirizza un diagonale rasoterra verso l’area magiara, Morlock (altro superbo rapace d’area) anticipa Grosics e segna: siamo appena al 10° minuto e la Germania ha appena accorciato le distanze! 2 a 1!

Gli ungheresi sono confusi, non si aspettavano i tedeschi ancora così battaglieri, e invece il meglio ha ancora da venire: su calcio d’angolo la palla passa oltre l’area piccola assiepata e finisce in posizione laterale, dove si trova Helmut Rahn, che tocca il pallone e lo deposita in rete. E’ l’incredibile pareggio.

Siamo solo al 18° minuto e Rahn, con un gol ed un assist, ha aiutato la Germania a ritrovare la parità! Il lungo lavoro psicologico operato dal CT Herberger su “Der Boss ha dato i suoi frutti. Da lì è un susseguirsi di emozioni: Hidegkuti riceve un cross appena fuori area, stoppa il pallone con classe e spara a botta sicura, ma con Turek battuto il palo salva i tedeschi. L’Ungheria è furiosa, vuole ristabilire il vantaggio ma la Germania difende con ordine ed il primo tempo termina 2-2.

Nel secondo tempo però la musica non cambia, e i tedeschi cominciano a vacillare sempre più: prima Puskas, a tu per tu con il portiere, si vede prima respingere il tiro e poi, ripreso il pallone, spara a porta vuota. O quasi: infatti Kohlmeyer respinge sulla linea, facendosi così perdonare il pasticcio che aveva portato al secondo gol dell’Ungheria.

Ungheria, destino amaro

Pochi minuti dopo è la traversa a fermare gli uomini di Sebes, ed è il secondo legno colpito dai magiari dopo il palo di Hidegkuti nel primo tempo. Nel calcio certi episodi sono segnali, i tedeschi si scuotono e capiscono che, con un po di fortuna, possono vincere: ci prova ancora Rahn un paio di volte, ma Grosics è un portiere di classe mondiale e neutralizza.

Rapido contrattacco ungherese, Turek esce a valanga e prende una botta in testa, mentre Toth da posizione decentrata non riesce a infilare la porta sguarnita. E arriviamo all’84° minuto: l’Ungheria è stanca, i tedeschi hanno ancora qualcosa da dare. Lancio lungo dalle retrovie, la difesa respinge di testa, Rahn raccoglie il pallone da fuori area, controlla e spara un rasoterra imprendibile.

È la rete del clamoroso 3-2! Incredibilmente, contro ogni pronostico, la Germania è in vantaggio quando mancano poco più di cinque minuti alla fine. Helmut Rahn, “Der Boss“, con un assist e due reti è riuscito nell’impossibile impresa di mettere sotto la “Squadra d’Oro”, rimontando da un passivo di due reti.

L’Ungheria non si arrende, non perde da 4 anni e non vuole certo cominciare dalla Finale della Coppa del Mondo: lancio per Puskas, che ha camminato per tutto il secondo tempo ma che ha pur sempre una classe illimitata.

Il capitano dei magiari è solo davanti a Turek, e stavolta lo supera! 89esimo minuto! Pareggio! E invece no, il gol viene annullato per un fuorigioco che rimane tutt’oggi molto dubbio. Rimane il tempo per il tiro della disperazione di Czibor, che il portiere tedesco in qualche modo respinge, e poi è finita.

Un vero miracolo a Berna

La Germania Ovest vince la sua prima Coppa del Mondo e lo fa contro ogni pronostico, sconfiggendo l’imbattibile Ungheria di Puskas. Quella squadra, che non si arrese anche quando sembrava impossibile rimontare, ispirerà le future leve calcistiche tedesche, al punto che in ogni edizione della Coppa del Mondo i teutonici saranno sempre tra i favoriti figurando costantemente tra i favoriti.

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Prima di quel Mondiale la Germania non era una superpotenza calcistica, da quel giorno lo diventerà. L’esatto contrario di quanto capiterà invece all’Aranycsapat, l’Ungheria che aveva fatto tremare il mondo: l’invasione dei carri armati sovietici a sedare la Rivoluzione Ungherese del 1956 convincerà i calciatori dell’Honved, in quel momento in tour all’estero e ossatura fondamentale della Nazionale, a scappare in ogni parte d’Europa.

Conclusa quella generazione fenomenale, il calcio ungherese non saprà mai più anche solo sfiorare quei livelli di eccellenza, e cadrà nelle retrovie del calcio mondiale dove langue tuttora.

Il destino dei campioni

Qualche mese dopo molti calciatori tedeschi si ammaleranno della stessa malattia, facendo nascere più di un sospetto sull’utilizzo di sostanze dopanti all’epoca dei Mondiali svizzeri.

Helmut Rahn continuò a giocare da campione discontinuo qual era, ma in Nazionale subì una trasformazione: segnò 6 reti anche nei Mondiali successivi, e cinquant’anni dopo quella finale gli verrà dedicata una statua.

Werner Kohlmeyer si ritirerà anni dopo, quindi avrà seri problemi di alcolismo che lo porteranno ad una morte prematura ancora non cinquantenne.

Fritz Walter entrerà nella leggenda del calcio tedesco, diventando alla sua morte “Capitano Onorario” e venendo eletto dalla Federazione Tedesca “miglior calciatore tedesco di sempre”: a lui è dedicato lo stadio dove gioca le sue partite il Kaiserslautern.

Ottmar Walter, fratello di Fritz, aveva giocato per tutta la carriera con schegge di esplosivo nel ginocchio che ne avevano condizionato il rendimento: si ritirerà ad appena 32 anni avendo segnato quasi 300 gol in meno di 300 gare. Figuriamoci se fosse stato bene.

Toni Turek, forse il vero eroe della sfida e autore di una parata decisiva su Hidegkuti, pochi anni dopo il ritiro sarà colpito da numerosi mali fino a quando un ictus lo stroncherà a 65 anni, gli ultimi dieci vissuti in preda a continui, laceranti, dolori.

La fine dell’Aranycsapat

La Rivoluzione Ungherese del 1956 spazzerà via come detto la Honved e l’Aranycsapat. Ferenc Puskas dopo essere fuggito vagherà due anni tra Italia e Austria prima di accasarsi al Real Madrid. Segnerà in carriera più di 1.000 reti, vincerà sei campionati spagnoli e tre Coppe dei Campioni, realizzando in una finale ben 4 reti, record tuttora ineguagliato. Tornerà nel suo Paese soltanto dopo diverse decadi, per morirvi nel 2003.

Czibor andrà al Barcelona, con il quale affronterà l’ex-compagno Puskas nel “Clasico” del calcio spagnolo. E la Catalogna accoglierà anche Sandor Kocsis, “Testina d’Oro”, che darà spettacolo in maglia blaugrana. Di carattere allegro e gioviale, quando gli diagnosticheranno un cancro allo stomaco si deprimerà terribilmente, al punto da gettarsi da una finestra di Barcelona nel 1979, prossimo ai cinquant’anni.

Questa partita ha ispirato un film tedesco del 2003, chiamato appunto “Il Miracolo di Berna”.


SITOGRAFIA:

  • (07/06/2006) The Miracle of Bern, Spiegel Online
  • Amies, Nick (01/04/2010) World Cup Final, 1954: Hungary vs. West Germany, DW
  • Majumdar, Amlan (11/10/2012) The Miracle of Bern – A game that changed Germany and Hungary forever, The Hard Tackle
  • Mello, Niccolò (12/01/2013) 1954 Finale: Germania Ovest-Ungheria 3-2, Rovesciata Volante

BIBLIOGRAFIA:

FILMOGRAFIA:

 

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