martedì, Settembre 10, 2024

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Toni Turek, “Dio del calcio” e eroe della rinascita tedesca

Sconfitta e umiliata al termine della Seconda Guerra Mondiale, la Germania faticava a intravedere un futuro mentre a stento ricostruiva sulle macerie conseguenza della follia nazista. Un discorso che forse potrà sorprendere i più giovani, abituati a considerare questo Paese il principale “motore d’Europa” a livello economico. Si trattò in effetti di una vera e propria rinascita, che secondo diversi studi potrebbe essere strettamente legata al calcio e a una data precisa.

Per gli storici tedeschi Joachim Fest e Arthur Heinrich, infatti, la Germania come Paese inizia a rialzare la testa il 4 luglio del 1954. Quel giorno, in Svizzera, si gioca infatti la finale della 5ª edizione dei Mondiali di calcio. Una partita che passerà alla storia come “il Miracolo di Berna” e che tra i maggiori protagonisti avrà un nome oggi dimenticato da molti: il portiere Toni Turek.

È proprio in quel giorno, con una clamorosa vittoria in rimonta ai danni dell’Ungheria considerata ai tempi la squadra più forte al mondo, che i tedeschi sentono per la prima volta risuonare nuovamente le note del loro inno nazionale. Assente ai Mondiali del 1930, deludente comparsa a quelli del 1934 e del 1938, la Germania era stata esclusa da quelli del 1950 in Brasile in quanto considerata colpevole, con Italia e Giappone, della tragica Seconda Guerra Mondiale.

Pur avendo una lunga e rispettabile tradizione, iniziata alla fine del XIX secolo con le prime partite organizzate dal professor Konrad Koch, calcisticamente la Germania non aveva mai contato niente in Europa. In pochi si aspettavano che qualcosa sarebbe cambiato ai Mondiali di Svizzera del 1954. Eppure fu proprio qui che, dopo anni di ricostruzione, il popolo tedesco riuscì finalmente a rialzare la testa.

Il Miracolo di Berna

Tutto cambiò in 90 minuti, e gli storici hanno analizzato quella partita entrata nella storia sotto molteplici aspetti. Si è parlato a lungo di doping tra i tedeschi, mentre altri hanno sottolineato il talento di campioni come Fritz Walter e Helmut Rahn, autentico match-winner del match. E che dire della scarsa condizione fisica del geniale fenomeno ungherese Puskas, che volle scendere in campo nonostante fosse al 50%? Ancora c’è chi sottolinea il campo bagnato, le scarpe con i tacchetti intercambiabili fornite alla Germania dal futuro “Mister Adidas” Adi Dassler.

Si tratta di aspetti senz’altro degni d’interesse. Ma in pochi sembrano prendere in considerazione che probabilmente, a determinare la vittoria, fu un eroe inatteso che si rivelò alla fine il migliore in campo. Il portiere tedesco Toni Turek, appunto, autore durante la partita di quella che per molti è la parata più bella di tutti i tempi. E senza dubbio la più importante per la storia del calcio in Germania, decisiva per la vittoria in una sfida che molti definivano impossibile.

Un’impresa impossibile

Impossibile contrapporsi a una squadra, quella Ungheria, che non solo non perde da quattro anni durante i quali ha massacrato anche i “maestri inglesi” (6-3 a Wembley, 7-1 a Budapest) ma appena pochi giorni prima ha sconfitto i tedeschi nel girone per 8-3, costringendoli allo spareggio con la Turchia per continuare il torneo.

Turek a quella gara ha assistito dalla panchina, lasciando il posto alla riserva Kwiatkowski. Il CT Herberger ha infatti effettuato un turn-over quasi totale, conscio dell’impossibilità di giocarsela alla pari con gli avversari: meglio risparmiare gli uomini migliori per la sfida con la Turchia, sperando che nel frattempo l’Ungheria venga estromessa da qualcun altro.

Cosa che non accade: nonostante l’infortunio – proprio in quella gara – della stella più luminosa, Ferenc Puskás, i magiari sono stati capaci di superare Brasile e Uruguay, due tra le più forti Nazionali al mondo in quel momento. La Germania ha invece fatto fuori Jugoslavia e Austria, che non sono proprio la stessa cosa.

toni turek

Toni Turek è arrivato al calcio che conta relativamente tardi: nato a Duisburg, sulle rive del Reno, è cresciuto nel club cittadino prima di mettersi in mostra con una buona stagione all’Eintracht di Francoforte. Quando arriva l’esordio in Nazionale ha ormai 31 anni, ed è in quella che si può definire la fase conclusiva della carriera. Siamo nel 1950, la Germania sta tentando faticosamente di riprendersi dopo una guerra che l’ha devastata.

Toni – che è stato salvato dal proprio elmetto dalla scheggia di una bomba che avrebbe potuto ucciderlo – ha avuto una carriera più che discreta, che dopo averlo visto emergere nel 1. SSV Ulm, si sta concludendo nelle fila del Fortuna Düsseldorf, squadra dove milita da quattro stagioni.

“Un genio del calcio”

In patria non gode di enorme considerazione, ma per Herberger, CT della Nazionale dai tempi del Führer, è “un genio del calcio”. Quando cominciano i Mondiali di Svizzera, Anton Turek ha 35 anni ma non ci sono dubbi sulla sua titolarità tra i pali della porta tedesca. L’unica alternativa sarebbe del resto rappresentata da Bert Trautmann, ex soldato delle SS diventato una stella del calcio inglese, ma il commissario tecnico ha preferito puntare soltanto su calciatori che giocano in Germania.

E torniamo a Berna, a quel giorno di luglio del 1954 in cui la storia del calcio cambia, e forse non solo quella. Dopo pochi minuti l’Ungheria tenta un lungo lancio in profondità, Turek esce con i piedi con sicurezza e respinge il pallone, che però viene ancora riconquistato dai magiari: Kocsis tenta il tiro, un difensore devia la sfera che però arriva ai piedi di Puskás.

Il campione ungherese era noto per il tiro potente e preciso, che faceva preoccupare i portieri anche da 30-40 metri. Figuriamoci, da appena fuori area, se può sbagliare: tiro, gol. 1-0 per l’Ungheria dopo poco più di cinque minuti. Un minuto dopo il raddoppio: la Germania è ancora scossa, Kohlmeyer tenta di appoggiare il pallone proprio a Turek da pochi passi, il portiere però è sorpreso, pasticcia, il pallone gli sfugge di mano. Czibor è lì, si impossessa della palla e la infila a porta vuota.

L’uomo dei miracoli

2-0, e non sono passati neanche dieci minuti. La disfatta è dietro l’angolo: dei tedeschi, certo, ma soprattutto di Turek, che ha pesanti responsabilità sia sul primo gol che, soprattutto, sul raddoppio magiaro.

Proprio quando tutto sembra finito, però, la storia cambia. I tedeschi reagiscono, accorciano con Morlock subito dopo e pareggiano al 18′ con Helmut Rahn. L’Ungheria è sorpresa: abituati alle partenze brucianti, i magiari erano soliti annichilire l’avversario nei primi minuti per poi disporne quando questo, demoralizzato, si consegnava all’inerzia della gara.

Invece quella è una reazione che stupisce il mondo intero: è la prima grande Germania calcistica. E Turek è il primo grande portiere di quella che sarà una delle scuole migliori del mondo: la prova è il 24° minuto, quando Hidegkuti si libera in aria e al volo batte a colpo sicuro da pochi metri. La sua reazione, che lo vede volare con insospettabile agilità a deviare quel pallone alto con un pugno, è da molti considerata “la miglior parata di sempre”.

Toni Turek, ein Fußballgott

“Turek, du bist ein Teufelskerl! Turek, du bist ein Fußballgott!” grida in preda all’estasi il telecronista tedesco Herbert Zimmermann. Teufelsker, in tedesco, è un appellativo con cui si riferisce a qualcuno che ha venduto l’anima al Diavolo. Non meno blasfema, ma senz’altro più semplice, la traduzione della seconda frase.

“Turek, sei un Dio del calcio!”

Un Dio del calcio. Forse non sempre, ma certo quel pomeriggio a Berna. Turek infatti si ripete in più occasioni: sul successivo calcio d’angolo vola su un colpo di testa di Kocsis, mentre nel secondo tempo respinge una botta di Bozsik, si supera di piede su un mortifero tiro di Puskás e compie altri due miracoli su Czibor.

Ci si mettono anche un palo, una traversa e un fuorigioco quantomeno dubbio a fermare gli ungheresi. A cinque minuti dal termine il regista magiaro Bozsik commette forse l’unico errore in carriera, perde palla, Helmut Rahn indovina il tiro della vita: la Germania è campione del mondo.

Un Paese risorto dalle proprie ceneri

Una vittoria che è un messaggio, che esalta un popolo – quello tedesco – che dopo quasi dieci anni sente risuonare in pubblico il proprio inno nazionale, bandito dalla fine della guerra. Rinascere si può, reagire alle difficoltà fa parte dello spirito indomito dei tedeschi, e non è quindi affatto esagerato sostenere che si, forse ha ragione chi dice che l’intera Germania rinasce in quel pomeriggio di Berna.

E anche se nei mesi successivi si parlerà di doping tedesco, per via dei numerosi casi di epatite che sopraggiungono ai membri della squadra campione, è indubbio che la partita la Germania l’ha vinta soprattutto grazie al suo portiere, passato in pochi minuti dalla polvere all’altare mostrando classe, e soprattutto carattere, da vero campione.

Turek torna nella sua Düsseldorf da eroe, trovando 100.000 persone ad attenderlo festanti. In capo a pochi mesi abbandona la Nazionale, e nel giro di qualche anno fa lo stesso con il calcio, chiudendo con una stagione da riserva nel Borussia Mönchengladbach a 38 anni.

Il conto del Diavolo

Ormai realizzato, l’eroe lascia il calcio per lavorare alla stazione di Düsseldorf, ma presto quel diavolo a cui Zimmermann diceva Toni avesse venduto l’anima presenta il conto: poco più che cinquantenne, una notte, Turek viene colpito da una misteriosa paralisi alle gambe, e nel giro di poco tempo la situazione si complica.

Milza e parte dello stomaco vengono rimossi, soffre di un’embolia polmonare a cui sopravvive solo grazie a numerose trasfusioni di sangue. Perde la metà del peso corporeo e l’uso delle gambe, che recupera faticosamente – e parzialmente – solo dopo quasi tre anni di cure.

Il corpo del “Dio del calcio” è irrimediabilmente compromesso: nel giro di pochi anni vengono fuori problemi alla cistifellea e al cuore, finisce nuovamente in carrozzina e alla fine di aprile del 1984 viene colpito da un ictus. Muore poco dopo, l’11 maggio, all’età di 65 anni, dopo aver passato gli ultimi dieci in preda a dolori e malattie.

È naturale che a quel punto torni fuori quella vecchia storia di doping, ma per rispetto nessuno approfondirà mai quel discorso. E allora la Germania si limita a piangere il suo eroe, l’uomo che forse più di ogni politico e di ogni riforma economica è stato responsabile della rinascita di un Paese.

Il quale, in quel giorno di maggio contro gli imbattibili ungheresi, ha imparato che è sempre possibile rialzarsi, anche dopo la peggiore delle cadute. La lezione più grande che ha lasciato al mondo Anton “Toni” Turek, der Fußballgott.


SITOGRAFIA:

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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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