Ha avuto il via lo scorso 15 agosto, con l’Extra Preliminary Round, l’edizione numero 135 della FA Cup, la Coppa d’Inghilterra, il più antico torneo calcistico al mondo.
L’ultima edizione è stata vinta dall’Arsenal, che ha trionfato grazie a un gol del difensore tedesco Mertesacker: una rete decisiva, come quella segnata nella prima edizione di sempre da Charles Alcock, leader dei Wanderers campioni e ideatore della coppa stessa.
L’idea Alcock l’aveva presa dai suoi anni giovanili, passati nella Harrow School: lì le quattro case in cui si divideva la scuola giocavano già il “football” – seppur con regole ancora in via di definizione – e ogni anno disputavano un torneo tra di loro per stabilire quale fosse la casa più forte.
Perché non farlo anche tra i club del nascente movimento calcistico inglese?
La F.A. (Football Association, il primo organo calcistico della storia) esisteva già da quasi un decennio, ma aveva passato questo tempo semplicemente a codificare le regole e promuovere la diffusione dello sport tanto amato in lungo e in largo per Albione, organizzando incontri che però nascevano e si concludevano sul momento e che oggi chiameremmo semplicemente “amichevoli”.
Serviva qualcosa di più, e questo fu individuato nella “Football Association Challenge Cup”, o appunto semplicemente “F.A. Cup”: questo trofeo sarebbe stato il simbolo da esibire per la squadra più forte d’Inghilterra.
Appena 15 squadre
Delle 50 squadre esistenti all’epoca soltanto in 12 risposero all’invito a partecipare, quindi con il ritiro di 3 di queste ma il contemporaneo ingresso di altri 6 club (tra cui il prestigiosissimo club scozzese del Queens Park) le partecipanti divennero 15.
L’11 novembre del 1871 si svolse il primo turno del primo torneo ufficiale nella storia del calcio.
Che fosse un calcio completamente diverso da quello che conosciamo adesso, almeno per organizzazione, importanza a livello locale e interesse economico è fuori discussione: i calciatori dell’epoca erano semplici amateurs che non giocavano per altro motivo che non fosse la passione, mentre nella vita avevano gli impieghi più disparati.
Le divise da gioco di una squadra a volte differivano tra gli stessi membri, tanto che si utilizzava il cappello per distinguere le compagini, usanza che ha portato al termine che si utilizza ancora oggi di cap per indicare una presenza in una squadra.
I club stessi altro non erano se non poco più che associazioni di amici, senza allenamenti e allenatori, senza soldi, con tattiche rudimentali e a volte persino senza un campo ufficiale.
Nasce il mito degli Wanderers
Era questo il caso degli Wanderers, che però non avevano un terreno di gioco per scelta: il loro nome in italiano significa letteralmente “Vagabondi”, e questo in effetti faceva il club di Alcock, viaggiando per l’Inghilterra con lo scopo di promuovere il gioco tanto amato e, soprattutto, illustrare le regole della Football Association in quelle zone dove ancora non erano arrivate o non venivano accettate.
La mancanza di soldi, e forse di convinzione nel nuovo trofeo, portarono diverse squadre, nella sua prima edizione, a snobbare la F.A. Cup: delle 7 partite in programma nel primo turno solo 4 vennero giocate, mentre Harrow Chequers e Reigate Priory non si presentarono sul campo concedendo il passaggio del turno a Wanderers e Royal Engineers.
Questi ultimi erano una squadra davvero molto particolare: uno dei primi club calcistici di sempre, fondati nel 1863 da un’altra figura chiave del football pionieristico – Sir Francis Marindin – schieravano solo appartenenti all’esercito, precisamente del reparto dei genieri.
A discapito del rude soprannome (“Sappers“, zappatori) erano uno dei pochi club che al dribbling game in voga ai tempi – e che vedeva semplicemente un calciatore lanciarsi contro la difesa appena preso possesso del pallone – preferiva il combination game, e cioè il passare la sfera da un compagno all’altro, sicuramente un retaggio delle strategie militari a cui tanto erano abituati.
F.A. Cup 1871: Dribbling game VS Combination Game
Sembra incredibile, ma ai tempi questa tattica era vista come rivoluzionaria, e in molti pensavano che avrebbe avuto vita breve: sarebbe diventato invece il calcio per come lo conosciamo, anche se forse – come vedremo – i tempi non erano ancora maturi.
Partita dopo partita, rinvio dopo rinvio e ritiro dopo ritiro, la coppa andò avanti a stentoni: nel secondo turno, svolto intorno al Natale del 1871, solo una gara delle cinque in programma non andò in scena.
Quella cioè tra gli scozzesi del Queen’s Park e il Donington, con questi ultimi che si ritirarono, dopo aver dato forfait già nel turno precedente contro i medesimi avversari, per incomprensioni sul campo scelto per la gara.
Il resto delle gare vide emergere gli Wanderers di Alcock (3-0 al Clapham Rovers, tra i fondatori anche della Rugby Football Union e che schieravano tra le proprie fila Jarvis Kenrick, primo marcatore di sempre nella competizione), i Royal Engineers (5-0 sul campo dell’Hitchin – il moderno Crystal Palace – davanti a 750 spettatori) il Crystal Palace (niente a che vedere con l’attuale club, 3-0 al Maidenhead grazie alle doti offensive del campione di football e cricket Chenery) e l’Hampstead Heathens, che superò il Barnes 1-0 nel primo “replay” della storia della F.A. Cup, dopo che la prima gara si era conclusa 1-1.
Regna l’improvvisazione
Nel terzo turno restavano in gara cinque squadre, e fu per ragioni di costo e logistiche che al Queen’s Park fu concesso il passaggio automatico in semifinale: gli scozzesi erano a un passo dal trionfo senza essere mai scesi in campo, un fatto singolare e che la dice lunga sulla mancanza di chiarezza nelle regole e nell’organizzazione dei tempi.
Altro esempio? Wanderers e Crystal Palace pareggiarono, ma invece di essere costrette al “replay” entrambe le compagini furono ammesse in semifinale, a differenza di quanto era successo nel turno precedente all’Hampstead Heathens, nel frattempo spazzato via dal brillante gioco corale dei Royal Engineers.
Le semifinali si svolsero entrambe a Londra, nel Kennington Oval che poi per vent’anni avrebbe ospitato la finale di ogni edizione della coppa e che era adibito anche al cricket: davanti a un impianto stracolmo (2.000 spettatori) Crystal Palace e Royal Engineers pareggiarono per 0-0, e lo stesso risultato fu conseguito un paio di settimane più tardi da Wanderers e Queen’s Park, finalmente scesi in campo.
Verso la prima finale
Ci sarebbero voluti i “replay”, ma di questi solo uno andò in scena, con gli scozzesi che, fatti due conti, capirono che una nuova trasferta in suolo inglese sarebbe stata troppo dispendiosa per le proprie esigue casse: il Wanderers dunque volava in finale senza aver vinto negli ultimi due turni, e di fronte si sarebbe trovato i Royal Engineers, che nel “replay” avevano travolto il Crystal Palace per 3-0 e che erano a questo punto i naturali favoriti.
La stella della squadra ero lo scozzese Henry Renny-Tailyour, atleta talmente completo da essere ancora al giorno d’oggi l’unico ad aver vestito la maglia delle nazionali di Scozia sia nel calcio che nel rugby.
Il 16 marzo del 1872 dunque andò in scena la prima finale della storia della F.A. Cup: avrebbero avuto la meglio i “vagabondi” di Alcock, l’ideatore del trofeo e delle prime regole del football, oppure gli “zappatori” del Royal Engineers di Marindin, che a dispetto del proprio soprannome esibivano un gioco elegante e cervellotico?
Finale: uno scontro tra filosofie
La sfida era in pratica uno scontro tra due filosofie, quella del calcio degli albori basato su foga e coraggio e quello che poi sarebbe stato il football del futuro, che aveva i suoi cardini in ordine tattico e gioco di squadra.
Per quanto quest’ultimo sarebbe diventato lo stile dominante in capo a pochi anni, ancora i tempi non erano evidentemente maturi: in pratica sotto di un uomo per il grave infortunio capitato a Creswell – che si ruppe la clavicola in uno scontro, e pur restando stoicamente in campo non poté chiaramente essere di alcuna utilità – gli Engineers videro gli avversari dominare la gara fin dalle prime battute, anche se alla fine gli Wanderers la spuntarono appena per 1-0.
Morton Betts o A.H. Chequer?
Il gol della vittoria lo siglò Morton Peto Betts, portiere che però per l’occasione giocava in difesa e che nel tabellino risultava come A. H. Chequer, e cioè “A Harrowian Chequer”.
Un modo per nascondere, ma allo stesso tempo omaggiare, la sua precedente presenza nelle fila degli Harrow Chequers, ritirati al primo turno: dovevano giocare proprio contro gli Wanderers ma non si presentarono, e forse fu in quell’occasione che Betts capì che se voleva giocare sul serio gli Wanderers erano la scelta giusta.
Il gol che decise la finale, dalle poche cronache che abbiamo dell’epoca, arrivò con un semplice “tap-in” dopo una splendida azione in dribbling di Robert Walpole Vidal, conosciuto come “il principe del dribbling”.
In un’epoca dove dopo il gol il calcio di ripresa del gioco veniva dato dalla squadra che aveva segnato, si dice che Vidal avesse una volta marcato in questo modo tre gol senza che gli avversari fossero stati capaci di toccare il pallone.
La storia è scritta
In seguito avrebbe avuto un’importante carriera ecclesiastica, ma quel pomeriggio era lì, ragazzo tra i ragazzi: insieme a Betts, al capitano Charles Alcock, al rivale sconfitto – e futuro segretario della F.A. – Francis Marindin, al portiere Nepean, uno che avrebbe giocato in tutte le posizioni del campo.
A scrivere la storia di questo sport, che vedeva così concludersi il suo primo torneo ufficiale di rilevanza nazionale.
Iniziava così una storia che continua ancora oggi, la storia della coppa nazionale più importante al mondo e che ancora oggi, nel calcio dei milioni e delle televisioni, mantiene immutato il suo fascino: merito di un gruppo di pionieri che, più di un secolo fa, trasformò il football da gioco a religione di massa.
BIBLIOGRAFIA:
- Lloyd, Guy (2005) The FA Cup: The Complete Story, Paperback
- Sanders, Richard (2010) Beastly Fury: The Strange Birth of British Football, Bantam Records
- Cola, Simone (2016) Pionieri del Football – Storie di calcio vittoriano, Urbone Publishing
- Paliotto, Vincenzo (2017) Storie e leggende della FA Cup, Urbone Publishing