Si mormora che sul letto di morte abbia espresso un ultimo singolare desiderio: quello di essere sollevato dal letto per osservare dalla finestra lo spettacolo di una folla sul punto di dirigersi al “Perry Barr”, lo stadio della sua squadra del cuore. E che solo allora sia spirato. Pochi minuti o poche ore dopo non è dato saperlo, considerato che l’episodio risale alla fine del 1800, e tutto ciò che possiamo ricostruire sul calcio dell’epoca rimane sospeso fra mito e realtà.
Di certo possiamo attestare che a morire in quella fredda sera di fine novembre del 1894 nella sua casa di Aston, a Birmingham, fu una delle prime leggende della storia del football inglese, uno dei primi eroi, quindi, della storia del calcio mondiale. Il suo nome era Archie Hunter.
Originario della Scozia, dove aveva giocato per Third Lanark e Ayr Thistle, era arrivato in Inghilterra per cercare lavoro, e non appena lo trovò, in provincia di Birmingham, si mise alla ricerca di una squadra di football disposta ad accoglierlo per poter continuare a giocare.
In un’amichevole giocata in Scozia con l’Ayr Thistle era entrato in contatto con un club locale fondato da due scozzesi, il Calthorpe, ma non riuscì a scoprire dove si allenava. Mentre era impegnato in questa ricerca qualcuno pensò bene di indirizzarlo verso un’altra giovane realtà calcistica di Birmingham: l’Aston Villa, nato appena 4 anni prima per volontà di alcuni membri di una chiesta metodista di provincia.
L’arrivo di Archie Hunter a Birmingham
La prima gara della loro storia, i Villans, l’avevano disputata contro una squadra di rugby vicina, l’Aston Brook St. Mary: primo tempo con palla ovale e regole degli ospiti, il secondo con pallone e regole del football. In Inghilterra ai tempi si giocava sì il calcio, ma era comunque uno sport radicalmente diverso da quello odierno; da molti veniva chiamato dribbling game in quanto era usanza diffusa che ogni calciatore, una volta venuto in possesso del pallone, tentasse di scartare quanti più avversari possibile nel tentativo di segnare un gol.
Gli scozzesi, più deboli fisicamente ma forse più avveduti, avevano invece l’abitudine di far circolare il pallone con passaggi corti e precisi nell’attesa di trovare il varco giusto per penetrare e segnare. Ai membri dell’Aston Villa, evidentemente, il rugby piaceva poco, così come anche il dribbling game in voga all’epoca: fu per questo che, grazie al capitano George Ramsay, presero a far circolare il pallone al modo degli scozzesi.
Ramsay, fratello scozzese
E fu proprio Ramsay a scoprire il talentuoso Archie e a convincerlo ad unirsi al club; particolare non da poco, visto che lo stesso, oltre ad essere un un giocatore di gran tecnica e sublime sagacia tattica, dote quest’ultima che lo avrebbe portato poi ad essere un grande allenatore, vantava origini scozzesi.
Fu il 1878 l’anno in cui Archie Hunter si unì all’Aston Villa: arrivato in città in cerca di un’occupazione, aveva pensato di unirsi al locale club del Calthorpe, ma non riuscendo a trovarne la sede chiese ad alcuni passanti. Questi gli consigliarono invece di cercare mister Ramsay, che aveva da poco preso le redini dei Villans e che, oltretutto, era un suo connazionale.
Schierato al centro dell’attacco, proprio davanti a colui che sarebbe diventato il suo maestro, Hunter dimostrò da subito di cosa era capace: velocissimo, dotato di un dribbling portentoso ma anche della sapienza scozzese del gioco di squadra, si rivelò fin da subito uno degli uomini in campo capaci di fare la differenza.
Sulla strada per la grandezza
I Villans vinsero numerose gare, ma c’era ancora un problema da risolvere: a quei tempi non esisteva nessun campionato nazionale ufficiale, solo la Coppa d’Inghilterra, che è poi il più antico trofeo calcistico al mondo, dove l’Aston Villa era giunto due volte ai quarti di finale.
Nel 1884 i famosi e quotati scozzesi del Queen’s Park di Glasgow, ideatori del passing game, invitarono la squadra dell’amico Ramsay per un amichevole che Hunter avrebbe ricordato così: “Non appena cominciammo a prendere posto in campo, vedemmo dei piccioni volare da tutte le parti. Era il segno che la battaglia stava per cominciare.” A sorpresa, l’Aston Villa vinse 2-1, con “Archie” protagonista: “Finita la gara sono stato seguito fino a casa da una folla scoppiettante, come se avessi vinto la battaglia di Waterloo.”
Il ricordo del suo talento, in un’epoca priva di radio e TV e avara persino di resoconti stampati, va oltre i tabellini ufficiali, e si affida ai racconti di chi lo ha visto giocare: questo fino al 1887. Due anni prima, nel 1885, numerosi club, tra cui lo stesso Aston Villa, contemporaneamente all’entrata in vigore del professionismo cominciarono a discutere della possibilità di creare un campionato ufficiale: alla fine il campionato, la Football League, primo nella storia, si farà nel 1888.
La grande occasione
Il 1887 vide quindi l’ultima edizione della Coppa d’Inghilterra come unico trofeo ufficiale in terra inglese. L’Aston Villa, dove l’ex-capitano George Ramsay sedeva adesso in panchina e che aveva affinato ulteriormente il passing game praticato fin dagli esordi, contrapposto al Wednesbury Old Athletic superò facilmente il primo turno con un rotondo 13-0
Dopo un altro facile trionfo, un 6-1 rifilato al Derby Midland, il terzo turno si rivelò decisamente più ostico: arrivarono in città i Wolverhampton Wanderers, che pareggiarono 2-2 a Birmingham. A quei tempi in caso di pareggio era previsto il replay, che si giocava a campi invertiti: in trasferta i Villans riuscirono a resistere alla carica degli avversari e la partita si concluse 1-1. Ancora replay, di nuovo in casa del Villa, che stavolta si impose 2-0 e passò il turno.
Il Re di Coppa
Archie era diventato il capitano del club, così aveva voluto Ramsay e così era andato bene a tutti, tifosi e compagni. La sua classe era del resto fuori discussione, e lo aveva reso capace di risolvere in non poche circostanze una gara da solo, scartando letteralmente tutti gli avversari, compreso il portiere, e molto frequente era l’immagine di lui che correva per il campo con quattro, cinque, sei avversari alle costole, impotenti di fronte a tanta rapidità e tecnica.
A 28 anni, un’età dove la micidiale combinazione di esperienza, classe e forza fisica lo rendeva praticamente inarrestabile, segnava e faceva segnare gol a grappoli. Hunter folleggiò nel 5-0 contro l’Horncastle, quindi fu decisivo nella più difficile gara contro il forte Darwen, un 3-2 sofferto che valse la semifinale per il Villa.
Due stili a confronto
Semifinale che, ironia della sorte, vide una squadra inglese a forte matrice scozzese (Ramsay allenatore, Hunter capitano e bomber) affrontare proprio un team proveniente dalla Scozia, i Rangers di Glasgow. Finì 3-1, così come l’altra semifinale che vide il West Bromwich Albion regolare a sorpresa il Preston North End, futuro dominatore dei primi anni di campionato.
L’ultimo match si sarebbe giocato al Kennington Oval, casa del cricket che ospitava anche la finale della Coppa d’Inghilterra dalla sua creazione e che lo avrebbe fatto per vent’anni, dal 1872 appunto al 1892. L’Oval aveva un campo regolamentare, e Hunter analizzò così la gara prima del suo svolgimento.
Trionfo all’Oval
Hunter fu buon profeta. La gara si concluse 2 a 0 per i Villans, e fu Archie (in gol in ogni partita giocata dai campioni finale compresa) il primo capitano della storia del club ad alzare la Coppa, primo trofeo mai vinto da quella squadra nata in una chiesa di periferia e arrivato grazie a una sua strepitosa fuga nel finale, uno sprint che aveva tagliato in due la difesa ospite e superato lo sbigottito portiere avversario, Long Bob Roberts, tra le ovazioni di ammirazione della folla.
Sir Francis Marindin, ex-calciatore nei Royal Engineers e in quel momento Presidente della Football Association, arbitrò la partita e, al termine della stessa, decretò la vittoria dell’Aston Villa riconoscendo poi che questa era arrivata soprattutto grazie alle doti di capitano di Hunter, che nelle sue memorie ricordava così gli attimi immediatamente successivi al fischio finale.
Fermato solo dal destino
Hunter partecipò anche ai primi due campionati inglesi di sempre: nel primo il Villa, protagonista anche del primo trasferimento nella storia del calciomercato, si piazzò secondo dietro all’imbattibile Preston North End che, guidato dalla coppia Goodall-Ross, vinse sia il campionato che la Coppa d’Inghilterra senza mai perdere una sola gara.
Nel secondo invece, mentre il Preston si riconfermò imbattibile, il team guidato da Ramsay arrivò addirittura ottavo: il motivo principale fu l’improvviso ritiro dello stesso Hunter, stella della squadra, che a gennaio durante una partita contro l’Everton si accasciò inaspettatamente a terra. Si trattava di un arresto cardiaco, e seguendo i consigli dei medici Archie dovette a malincuore smettere di giocare a calcio.
Divenne scrittore e giornalista, raccontando in diversi articoli sul settimanale locale di Birmingham la sua carriera come calciatore. Tutto questo materiale venne raccolto nel libro “Triumph of the Football Field”, uno dei primi e più importanti scritti sul calcio, che vede il campione scozzese raccontare la sua storia e soprattutto il calcio dell’epoca, così uguale eppure così diverso da quello che conosciamo adesso.
Un vero uomo di calcio
Fu proprio in questi scritti che il campione analizzò la fine forzata della propria carriera, raccontando che quel giorno faceva molto freddo, il terreno era pesante e i giocatori correndo finivano per sudare parecchio. Questa era stata la causa del suo malore, diceva, e di molti altri prima di lui. La Football Association avrebbe dovuto, in primo luogo pensando al futuro, provvedere a questo problema con indumenti adeguati, docce, controlli medici.
Il suo cuore continuava a mandare brutti segnali: una maledizione, quella della famiglia Hunter, dato che Archie aveva già perso due fratelli in giovane età. John era stato giocatore di spicco in Scozia, mentre il fratello Andy lo aveva seguito a Birmingham giocando con lui nell’Aston Villa. Entrambi si erano dovuti ritirare presto, ed erano morti poco più che trentenni a causa di problemi cardiaci aggravati dalla tubercolosi.
Il timore che lo stesso destino toccasse anche ad Archie si concretizzò quando venne ricoverato nell’ospedale di Birmingham dopo un peggioramento delle sue condizioni: morì il 29 novembre 1894 a soli 35 anni, mentre l’Aston Villa era campione d’Inghilterra in carica. A fine stagione il club avrebbe conquistato la FA Cup: un segno, forse, un omaggio del fato al campione che con gli amati Villans aveva alzato al cielo proprio quel trofeo.
Archie Hunter, la leggenda
La lapide sulla sua tomba recita: “Questo monumento viene eretto nell’amorevole ricordo di Archie Hunter, il famoso capitano dell’Aston Villa, dai suoi compagni e dal club come duraturo tributo alla sua abilità sul campo e al suo inestimabile valore come uomo.”
Archie Hunter non esaudì mai il suo sogno di giocare in Nazionale a causa dell’ostracismo degli scozzesi verso chi lasciava il Paese per andare a giocare in Inghilterra. Vinse solamente una Coppa d’Inghilterra, ma da protagonista e in un’epoca in cui questo era l’unico trofeo esistente.
Archibald Hunter è stato leggenda, un calciatore come pochi, uno dei primi idoli nell’epoca del football vittoriano, un grande uomo le cui abilità ancora vengono narrate dai tifosi, figli dei figli dei figli di chi si stropicciava gli occhi ogni volta che “Archie” entrava in possesso del pallone.
The Old Warhorse
SITOGRAFIA:
- Urry, Jack (08/10/2013) The Makers of the Villa – No.4 Archie Hunter, Aston Villa official site
- (28/06/2019) The Scots who helped make Aston Villa, Scottish Sport History
BIBLIOGRAFIA:
- Hunter, Archie (1997) Triumphs of the Football Field: Narrated by Archie Hunter (The Famous Villa Captain), Sports Projects Ltd
- Ward, Adam (2002) The essential history of Aston Villa F.C., Headline Book Publishing
- Brown, Paul (2013) The Victorian Football Miscellany, Superelastic
- Cola, Simone (2017) Pionieri del Football – Storie di calcio vittoriano, Urbone Publishing