“È certo, andrò in Italia nel fine settimana per firmare col Milan. Quella che ho giocato è stata la mia ultima partita al Tiro Federal.” Parola di Juan Mauri, fratello maggiore di quel José Mauri che si è messo in mostra come uno dei giovani più interessanti della scorsa Serie A distinguendosi nel disastratissimo Parma nonostante un’età verdissima.
Svincolatosi dai ducali in seguito al fallimento societario, su di lui si sono buttate diverse società importanti e a spuntarla è stato infine il Milan, che ha così preso uno dei migliori giovani prospetti del nostro campionato al solo costo dell’ingaggio. Anzi, degli ingaggi. Già, perché “compreso nel prezzo” c’era anche il misconosciuto 26enne fratello Juan, centrocampista della terza serie argentina.
Il quale aveva ovviamente chiaro che non sarebbe restato in rosa agli ordini di Mihaijlovic: “Sicuramente sarò ceduto in prestito, in Serie B o non so dove. Mi sarebbe piaciuto ottenere tutto questo per miei meriti, magari per essermi messo in mostra in Serie A del mio paese, e non per una furbata dell’agente di mio fratello” ammise candidamente il ragazzo, poi finito in effetti in prestito all’Akragas in Lega Pro.
Una storia incredibile? No, visto che si parla di Milan.
Parenti d’arte
I rossoneri si distinsero infatti già in passato per l’ingaggio del fratello di Kakà, Digão, difensore fisicato che nel 2007 gioca un pugno di gare in Coppa Italia prima di cominciare un girovagare in prestito tra Belgio (Standard Liegi), Italia (Lecce, Crotone) e Portogallo (Penafiel) senza mai giocare finendo per essere un ex-calciatore ad appena 28 anni.
L’anno successivo il rossonero era toccato a Chedric Seedorf, fratello di Clarence, che grazie ai suoi buoni uffici aveva trovato posto in prestito al Monza pure al cugino Stefano: il primo – che aveva seguito il fratello maggiore anche nel Real Madrid e nell’Inter – veniva da esperienze nel Legnano e nel Pizzighettone, in rossonero fu come Digão di passaggio e come lui concluse la carriera ad appena 28 anni, scaduto l’ultimo contratto con (guarda il caso) il Monza dove nel frattempo il buon Clarence era entrato come socio.
Stefano invece dopo un fallimentare ritorno in Olanda al NAC Breda è finito nella quarta serie brasiliana.
Dalla cucina alla Serie A a trent’anni
Juan Mauri, Digão, Chedric e Stefano Seedorf: storie incredibili, ma mai quanto quella di Harvey Esajas, il precursore di tutti questi “fratelli e amici di”.
Classe ’74, cresciuto nelle prestigiose giovanili di Anderlecht e Ajax, esordì nella massima serie olandese con la maglia del Feyenoord segnando poi un gol proprio ai “Lancieri” che lo avevano scartato. Un fuoco di paglia, visto che il resto di una carriera che sembrava promettente scemò rapidamente dopo i fallimenti con Cambuur, Dordrecht e Real Madrid B.
A 26 anni Harvey capisce che il mestiere del calciatore non fa per lui, appende gli scarpini al chiodo e diventa lavapiatti, i sogni di gloria messi in un cassetto. Fino al 2004, quando in visita all’amico Seedorf (sempre lui!) resta talmente impressionato dalle strutture di Milanello e MilanLab da avere una pazza idea: tornare a giocare a trent’anni, tre anni dopo l’ultima gara.
La bilancia segna 100 chili, tuttavia al Milan lo prendono in simpatia e gli offrono un contratto dopo che in un anno di duro lavoro atletico il ragazzo è riuscito a rimettersi in forma. Nel gennaio del 2005 la favola del lavapiatti tornato calciatore è completa: entra a tre minuti dalla fine della gara di ritorno valida per gli ottavi di finale di Coppa Italia contro il Palermo, sostituisce Massimo Ambrosini.
Tre minuti di calcio vero, tre minuti di gioia, tre minuti per sentirsi finalmente un calciatore vero: l’emozione è devastante, a fine gara Esajas piange commosso mentre i compagni si complimentano con lui. Finisce anche lì, in pratica, una carriera riaperta per una scommessa con se stesso. Una scommessa vinta, una favola bellissima così uguale eppure così diversa dagli squallidi giochi dei procuratori delle vicende che seguiranno.