Da sempre tra l’Inghilterra e il resto del mondo, calcisticamente parlando, esiste una differenza fondamentale che risiede nella figura di chi siede in panchina: mentre in ogni parte del pianeta si parla di allenatore, nel Paese che ha dato vita al football questo ruolo viene chiamato manager.
La differenza non risiede soltanto nel nome, naturalmente, ma nello stesso ruolo che questi ricopre: mentre infatti l’allenatore ha il compito di mettere in campo nel modo migliore i giocatori che la società gli mette a disposizione, potendo al massimo dare qualche suggerimento ai vari direttori sportivi, nel Regno Unito il manager si occupa di tutto quel che riguarda la squadra, dall’allenamento al calciomercato, dai rinnovi contrattuali alla parte tattica.
Si potrebbe dire che è così da sempre, ma il primo degno di essere chiamato in questo modo fu un allenatore leggendario capace di vincere due campionati consecutivi con l’Huddersfield Town per poi, nel momento di maggior successo, spostarsi a Londra per far diventare l’Arsenal la superpotenza calcistica che oggi tutti conosciamo.
Quest’uomo, una delle figure più importanti nella storia del calcio, rispondeva al nome di Herbert Chapman, il primo vero manager che il football ricordi.
Da giocatore
Uno degli undici figli di John Chapman, minatore che lavorava nei pressi di Rotherham, Herbert riuscì a sfuggire alla durissima vita della miniera grazie alla sua bravura negli studi, che gli permise di vincere una borsa di studi allo Sheffield Technical College, dove si laureò come ingegnere minerario.
Nella città dove in pratica era nato il football nella sua prima forma Chapman si appassionò alla disciplina al punto tale da dedicare la propria giovinezza all’inseguimento di un posto come calciatore: il talento però non era tale da permettergli di arrivare ai livelli dei professionisti.
Fu così che il buon Herbert, interno di centrocampo intelligente tatticamente ma poco dotato tecnicamente, per quindici anni si spostò in lungo e in largo per l’Inghilterra, cambiando numerose volte squadra a seconda di dove riusciva a trovare anche un lavoro che gli permettesse di mantenersi.
Furono oltre una decina i club dei quali vestì la maglia, con risultati spesso modesti e lontano dal calcio che conta. Trovò il modo di distinguersi indossando, in un’epoca in cui tutti i calciatori portavano scarpini neri, un paio di calzature marroni che lo rendevano facilmente riconoscibile da tifosi e compagni: soltanto un’idea, forse, ma indicativa di che persona creativa fosse in materia calcistica.
Le prime esperienze in panchina
Ben più gloriosa sarebbe stata la carriera come manager, ruolo che in pratica coniò e che arrivò quasi per caso, quando prossimo al ritiro stava pensando di lasciarsi il pallone alle spalle: l’unico acuto come giocatore era arrivato poco prima, con un biennio nelle riserve del Tottenham Hotspur che aveva portato buone prestazioni nella Southern League e soprattutto l’amicizia con Walter Bull.
A quest’ultimo, anch’esso giocatore a fine carriera, era stata offerta la panchina del Northampton Town ma aveva declinato preferendo concentrarsi ancora sul calcio giocato: al club deluso Bull raccomandò proprio Chapman, che così accettò con entusiasmo di rimettersi in gioco come player-manager, limitando comunque le sue apparizioni in campo e concentrandosi sullo studio della tattica.
Fu in questi anni che Chapman notò che c’era molto da lavorare e migliorare sul piano della gestione degli uomini in campo e al di fuori di esso: concepì che una squadra poteva “attaccare troppo”, finendo per esporsi ai contrattacchi rivali, e decise di sfruttare questo a proprio vantaggio agendo su rapidi contropiedi e puntando su giocatori “fisici” come il famoso colored Walter Tull.
Un concetto che quando fu trasportato al più prestigioso Leeds United nel 1912 lo rese noto al calcio inglese come un difensivista, termine che, già allora, veniva utilizzato prettamente in modo dispregiativo.
Così come a Northampton, anche a Leeds Chapman trovò una squadra in difficoltà economica e tecnica, e così come nella precedente esperienza riuscì parzialmente a rigenerare il club prima che la Grande Guerra e dei pasticci su certi pagamenti non regolari del club emergessero portando alla squalifica sua e di molti altri dirigenti.
I primi successi
Dopo due anni passati da radiato, e con il pensiero costante di lasciare tutto e dedicarsi all’ingegneria, Chapman fu richiamato al calcio dal destino, che fece si che la ditta presso la quale aveva trovato impiego fallisse e contemporaneamente arrivasse la chiamata di Ambrose Langley, tecnico dell’Huddersfield Town che aveva giocato con Harry, lo sfortunato fratello di Herbert, calciatore di qualità ben maggiore morto purtroppo ad appena 37 anni a causa della tubercolosi.
Graziato dalla federazione, alla quale riuscì a dimostrare che nei pasticci del Leeds non era implicato, Chapman divenne in breve tempo il manager del club quando Langley preferì dedicarsi a una vita lontana dagli stadi, luogo per cui evidentemente non si sentiva tagliato a differenza del redivivo Herbert.
Che subito nella prima stagione portò i Terriers a conquistare la prestigiosa FA Cup, riproponendo un calcio attendista e speculativo che la stessa federazione, sostenuta dalla stampa, arrivò a definire vergognoso.
Eppure quella squadra era una macchina ben oliata, poco spettacolare ma tremendamente efficace, che la stagione successiva conquistò il primo campionato della sua storia superando il Cardiff per differenza reti e poi fu capace di ripetersi immediatamente: mentre gli altri inseguivano gol e bel gioco, Chapman guardava oltre.
Un modo di pensare che portò l’Huddersfield a vincere il campionato una terza volta in tre anni, quando ormai l’allenatore aveva lasciato le redini del club ma la sua impronta restava più che viva.
L’Arsenal del “Sistema”
Lo attendeva una sfida ancora più impegnativa, che lo avrebbe consegnato definitivamente alla storia: rendere grande l’Arsenal, squadra che veniva da campionati deludenti e che grazie alla sua sapiente guida sfruttò meglio di tutti il cambiamento arrivato nell’estate del 1925 sulla regola del fuorigioco.
Prima di allora un calciatore era da considerarsi in gioco fin quando aveva tra se e la porta, nel momento in cui riceveva il passaggio, tre giocatori, ma visto che tale regola aveva finito per penalizzare la spettacolarità del gioco fu cambiata: solo due giocatori erano necessari per essere considerati in gioco.
Un cambiamento che produsse valanghe di reti mentre giocatori e tecnici cercavano di capire come adattarsi al meglio. Il più bravo di tutti fu proprio lui, che coniò “il Sistema” arretrando il centromediano a stopper e abbassando a centrocampo gli interni offensivi: in pratica si passava dal 2-3-5 del “Metodo” ad un più compatto 3-2-2-3, basato su una difesa accorta e su rapide ripartenze che mettevano in crisi gli avversari sbilanciati.
Genio e innovatore
In capo a cinque anni, quelli che al suo insediamento sulla panchina dei Gunners aveva detto sarebbero stati necessari per vincere, l’Arsenal di Chapman conquistò la FA Cup, mentre la stagione successiva arrivò un clamoroso successo in campionato, il primo per una squadra del sud, con ben 127 reti segnate e appena 59 subite.
Le innovazioni di questo straordinario tecnico furono innumerevoli: fece cambiare la fermata intorno allo stadio da “Gillespie Road” a “Arsenal” per attrarre i tifosi, suggerì al club di cambiare i propri colori sociali dal rosso completo in uno più chiaro e con le maniche bianche, curò il mercato e la preparazione di ogni singola partita, confrontandosi con i propri giocatori prima e dopo la gara per capire cos’era meglio fare e coinvolgerli nei destini della squadra.
Anche alla federazione propose diversi cambiamenti: l’utilizzo di un pallone a spicchi bianco e nero che fosse più visibile in TV, l’impiego dei riflettori per giocare le partite in notturna, la numerazione sulle maglie per meglio distinguere i calciatori. Tutte proposte rifiutate da una FA troppo conservatrice e che poi gli saranno riconosciute postume.
L’eredita di Chapman
La morte di questa figura leggendaria arrivò improvvisa e per troppo amore per la disciplina. Giunse nell’Epifania del 1934, ad appena 56 anni, per una polmonite che Chapman si prese seguendo una partita dei rivali dell’Arsenal e che poi trascurò per osservare la terza squadra impegnata nel campionato riserve.
Nel frattempo i Gunners erano giunti una volta secondi e avevano poi riconquistato il titolo, mettendo in mostra un gioco così convincente da permettere al “Sistema” di soppiantare il “Metodo”, prima in Inghilterra e poi lentamente in tutto il resto del mondo.
L’eredità che lasciò al calcio fu quindi enorme, e ancora di più quella che lasciò all’Arsenal, una squadra qualunque prima del suo arrivo e poi, dopo di lui, diventata una delle più forti, tifate e apprezzate di tutto il Regno Unito.
Oggi una statua lo ricorda fuori dall’Emirates Stadium, rappresentando il mitico manager che sembra osservare la sua grande creazione.
Un’immagine poetica e splendidamente realistica di quello che è stato a tutti gli effetti il primo grande allenatore nella storia del football.
BIBLIOGRAFIA:
- Wilson, Jonathan (2012) La Piramide Rovesciata, Libreria dello Sport