La storia del calcio è costellata di episodi considerati ‘fondamentali’ per lo sviluppo stesso della disciplina: la decisione di vietare la possibilità di giocare il pallone con le mani, ad esempio, oppure l’invenzione della rete o la necessità di avere un arbitro, la fondazione dei primi club e l’organizzazione delle prime partite o dei primi tornei.
Ognuno di questi episodi è stato un passo in avanti nell’evoluzione che ha trasformato quello che a metà del XIX° secolo era un passatempo per giovani e ricchi studenti nello sport planetario di oggi, che smuove montagne di soldi e milioni di persone.
Se dovessimo però segnare un punto esatto in cui il football smise di essere quello dei primordi per diventare un vero e proprio gioco di squadra destinato al popolo si dovrebbe indicare l’edizione della FA Cup 1882/1883 vinta dal Blackburn Olympic.
La nascita del mito Olympic
Quando l’imprenditore locale Sidney Yates, che aveva accumulato una fortuna grazie alla sua acciaieria, fondò la squadra nel 1877 – unendo formalmente due squadre amatoriali, Black Star e James Street – la Coppa d’Inghilterra esisteva già da sei anni.
Si trattava di un trofeo tanto prestigioso quanto lontano dai pensieri di una compagine in cerca d’identità, e i cui impegni si limitavano ai vari tornei e amichevoli che la dozzina di squadre allora presenti in città disputava sotto l’egidia della Blackburn Association.
Sin da subito fu chiaro che i più grandi rivali dell’Olympic (nome scelto dal primo tesoriere del club in omaggio a Olimpia, l’antica città greca dove si svolgevano le Olimpiadi) sarebbero stati i Blackburn Rovers, da più parti considerati la squadra più forte in città ma ancora distanti dai livelli competitivi delle compagini meridionali.
La squadra del popolo
In modo inverso a come sarebbe successo in Italia, infatti, in Inghilterra il football nacque al sud e ci mise molti anni prima di attecchire anche nelle città del nord come Blackburn, dal clima più rigido e dai ritmi industriali.
L’Olympic, grazie ai soldi di Yates che attiravano molti buoni giocatori, e ai conseguenti diversi trionfi sul campo, accrebbero ben presto la propria fama, ma i Rovers ribattevano colpo su colpo mantenendo un’indiscutibile leadership cittadina.
Tale equilibrio restò immutato quando la Blackburn Association entrò a far parte della Lancashire County Football Association e quindi della Football Association, la FA nata nel 1863 e che esprimeva la propria miglior squadra – la migliore d’Inghilterra, mancando ancora un campionato ufficiale – attraverso la FA Cup, o Coppa d’Inghilterra.
Gli esordi in Coppa
L’esordio dell’Olympic in questo mitico – e allora anche, a livello nazionale, unico esistente – torneo avvenne il 30 ottobre del 1880, quando i freschi esordienti si trovarono ad affrontare al primo turno la squadra più antica al mondo, lo Sheffield Football Club.
Nonostante il diverso blasone e la ovviamente differente esperienza, “The Club” riuscì a imporsi soltanto per 5-4, sancendo quindi l’immediata eliminazione degli uomini di Yates.
I quali non si persero minimamente d’animo: sempre inseguendo una supremazia cittadina che finivano per dividersi con gli odiati rivali dei Rovers – con le due squadre che si accusavano vicendevolmente di rubarsi i migliori giocatori – l’Olympic prese a giocare molte amichevoli importanti con squadre del sud e compagini scozzesi, incontri che finivano spesso per perdere ma dai quali impararono non poco.
Ad esempio notarono che in Scozia il modo di giocare il football era diverso che nel sud dell’Inghilterra, e laddove i club di Londra praticavano ancora il vecchio gioco in stile kick and run, compagini scozzesi come Cowlairs e Hibernian mettevano in mostra una fitta ragnatela di passaggi tra i vari compagni, nel tentativo di trovare quello piazzato nel modo migliore per concludere in porta.
Logico che una squadra come l’Olympic – nata a differenza dei Rovers, ex-studenti, dai quartieri proletari e operai – scegliesse come proprio modulo di gioco quest’ultimo, una scelta ideologica e anche logica, visto che era entrato a far parte del club anche il noto Jack Hunter.
Un nuovo modo di giocare
Hunter era ormai quasi un ex-giocatore, e in carriera aveva militato per numerosi club del sud, raggiungendo anche la fascia di capitano dell’Inghilterra nel periodo in cui i Leoni di Sua Maestà subivano nelle gare internazionali il gioco più evoluto degli scozzesi.
Proprio da queste cocenti sconfitte Hunter, centromediano per vocazione e capacità di leadership, finito a Blackburn dopo essere stato scoperto mentre prendeva pagamenti sottobanco dal suo precedente club, aveva intuito che alla lunga il sistema di passaggi avrebbe avuto la meglio su quello basato su cariche a testa bassa.
Restavano da convincere i compagni e soprattutto il resto d’Inghilterra, che restava ancorato al gioco primordiale, considerando poco onorevole per un giocatore il passare la palla a un compagno, un atto di codardia non degno di un vero uomo.
Oltre che sulla cocciutaggine tipicamente inglese sul mantenimento delle tradizioni questo modo di pensare si basava anche, va detto, su solide fondamenta: dal 1871 la FA Cup era sempre andata a squadre di Londra e dintorni, che mettevano in mostra questo stile di gioco fiero e furioso, poco ragionato ma evidentemente ancora efficace.
Rivoluzione operaia
Tutte le volte la coppa era finita in mano a club rappresentanti college e università, i luoghi cioè dove il football era nato e dove essi ritenevano dovesse rimanere. Eppure la storia stava per cambiare, e sarebbe successo proprio a Blackburn.
Nell’edizione 1881/1882 l’Olympic, presentatosi con le migliori intenzioni, fu invero immediatamente eliminati al primo turno dal Darwen, ma i concittadini del Rovers riuscirono partita dopo partita ad arrivare fino in finale, infiammando la città grazie a vittorie arrivate con risultati altisonanti e a una difesa di ferro che fece credere a molti che il dominio del sud stesse per concludersi.
La delusione, quando nell’atto conclusivo del torneo furono sconfitti per 1-0 dai ricchi e snob Old Etonians, fu enorme: passati in svantaggio dopo un primo tempo giocato “sulle gambe” per la troppa emozione, i Rovers furono incapaci di rovesciare il risultato nonostante una seconda frazione di gioco condotta all’arrembaggio.
L’onore del football old school era salvo, dunque. Ma per poco.
La storia che cambia
Ai nastri di partenza della FA Cup 1882/1883 si presentarono ben 84 squadre, un’enormità rispetto alle 15 che avevano partecipato alla prima edizione poco più di un decennio prima: tra queste il Blackburn Olympic, che non godeva certamente dei favori del pronostico ma che invece aveva lavorato duro sul proprio “combination game“, spinto dal capitano e allenatore Jack Hunter.
Dopo aver eliminato con un bel 6-3 l’Accrington al primo turno, l’Olympic distrusse 8-1 il Lower Darwen nel secondo: questi erano i cugini del Darwen che li aveva eliminati l’anno precedente, e che al secondo turno aveva invece a sorpresa estromesso dalla coppa i Blackburn Rovers, lasciando quindi l’Olympic come unica compagine cittadina in gara.
Come nell’edizione precedente, ma a maglie invertite, a Blackburn non restava che un club da tifare.
Ma mentre l’anno precedente in città c’era fiducia nei Rovers, in questa occasione erano in pochi a pensare che l’Olympic – nonostante le due rotonde vittorie nei primi turni – avrebbe fatto strada per davvero. Anche il terzo turno si risolse in una goleada per gli uomini di Hunter, che schiantarono i Darwen Ramblers con un sonoro 8-0 per poi ripetersi anche contro il Church nel round successivo, superato con un più modesto 2-0.
Fu dopo i quarti di finale che Blackburn cominciò a pensare che, in fondo, valeva la pena credere nella piccola squadra operaia nata appena cinque anni prima: l’Olympic infatti superarò in scioltezza i gallesi del Ruabon Druids, compagine che poteva vantare nelle proprie fila diversi componenti della nazionale del Galles, compagine ai tempi non imbattibile ma certamente capace di annoverare tra le proprie fila nomi di maggior richiamo rispetto a quelli degli operai di Blackburn, nei quali spiccava il solo Jack Hunter.
Oltre 8,000 spettatori videro invece i giovani in maglia celeste trionfare per 4-1 grazie a tre reti arrivate nel secondo tempo.
La caduta degli Dei
Nonostante la rotonda vittoria per l’opinione pubblica il Blackburn Olympic restava ancora la squadra sfavorita quando in finale si trovò a fronteggiare gli Old Carthusians: gli osservatori, gli esperti, erano rimasti più impressionati negativamente dalla scarsa forma mostrata dai Druids e dalle origini working class degli uomini guidati da Hunter e capitanati dal fiero difensore Albert Warburton, e non avevano notato le numerose innovazioni portate da questi.
Come ad esempio il fatto che, per ovviare alla minore massa muscolare derivante da una dieta povera come quella degli operai di Blackburn, il loro allenatore-giocatore avesse provveduto a svilupparne velocità e fiato.
O come in un’epoca in cui la maggior parte delle squadre giocava con una sorta di 2-2-6, gli Olympic avessero scalato un uomo dall’attacco al centrocampo per favorire il proprio passing game.
L’innovazione più importante giunse però prima della semifinale, quando Hunter portò tutti i compagni a Blackpool – dove possedeva un pub – per una settimana.
Lontani dal lavoro (in permesso) e dalle proprie famiglie, sotto l’occhio vigile del più esperto compagno, Warburton e soci si allenarono a fondo e rinunciarono alla birra abbondando invece con le ostriche, ai tempi ritenute un vero toccasana.
Il risultato di questa sorta di “ritiro”, esperienza mai tentata prima da nessuno, fu sotto gli occhi di tutti quando il 17 marzo del 1883, nel campo neutro di Manchester, il Blackburn Olympic sconfisse con un secco 4-0 gli Old Carthusians che due anni prima avevano vinto la competizione.
I plebei avevano sconfitto i patrizi, gli operai avevano avuto la meglio sugli old boys delle scuole.
Il football era pronto per un cambiamento.
Working Class Heroes
Ancora però c’era chi non voleva capirlo. Per molti gli operai di Blackburn avevano avuto soltanto molta fortuna, sorprendendo i real footballers e approfittando di momenti di scarsa forma degli avversari: sarebbe finita come con i Rovers l’anno prima, il sogno si sarebbe spezzato in finale, anche perché ad attenderli vi era la stessa compagine che l’anno prima aveva trionfato contro i cugini, e cioè gli Old Etonians.
Dei tanti college in cui aveva avuto origine il football, infatti, molti ritenevano che quello di Eton fosse stato il più influente, quello più vicino nelle proprie regole (il cosiddetto “Field Game“) a quelle attuali: dal 1875 questa era la sesta finale di FA Cup che gli Old Etonians disputavano su sette edizioni, e avevano fornito nel frattempo numerosi giocatori alla Nazionale.
Le loro stelle erano tutti nobili di buon lignaggio, ex studenti-modello divenuti uomini di successo quali Lord Arthur Kinnaird, uno dei padri del football e futuro presidente della FA, il futuro giudice di pace Percy de Paravicini e il professore-goleador Harry Goodhart.
La gara si svolse come da tradizione al Kennington Oval di Londra, al sud, e degli 8,000 tifosi presenti la maggior parte aveva con se bandiere e stemmi dedicati agli ex-studenti: non vi fu alcuna sorpresa quando, approfittando dell’emozione degli avversari, esattamente come un anno prima avvenuto contro i Rovers, gli Old Etonians si portarono in vantaggio proprio con Goodhart.
The Hole-in-the-wall gang
Mano a mano che passavano i minuti, però, la forma fisica allenata nei lunghi ritiri dagli operai di Blackburn venne fuori, e contemporaneamente al calo di “figli di papà” fece si che l’inerzia della gara mutasse: Arthur Matthews pareggiò nelle prime battute del secondo tempo, e Thomas Hacking tra i pali dimostrò che agilità e rapidità potevano essere importanti per un portiere tanto quanto la stazza fisica di cui era sprovvisto, sventando diverse occasioni da rete che gli Old Etonians riuscirono a procurarsi.
Terminati i tempi regolamentari si andò ai supplementari per volere di entrambe le squadre, che rifiutarono il replay del match: Kinnaird, de Paravicini e compagni infatti erano furenti per l’insolenza con cui i proletari si ribellavano al proprio destino di vittime sacrificali, mentre gli operai dell’Olympic erano pressoché certi di spuntarla mano a mano che i minuti passavano.
Ed ebbero ragione, visto che il giovane tessitore Jimmy Costley siglò la rete della vittoria approfittando della stanchezza degli avversari. 2-1.
La coppa per la prima volta finiva al nord, a Blackburn. Nella bacheca dell’Olympic, i cui giocatori divennero noti come la Hole-in-the-wall gang, soprannome dato dal campo in cui giocavano, che sorgeva nei pressi di un pub dove un tempo le bevute venivano letteralmente passate agli avventori attraverso un buco nel muro.
L’egemonia dei “ragazzi delle scuole” poteva dirsi conclusa, e infatti mai più alcun club di quel tipo sarebbe riuscito a vincere il trofeo.
Il calcio era davvero cambiato, e nonostante gli improperi dell’alta società – che accusò l’Olympic di poca sportività, in quanto si era allenato appositamente per la gara (!!!) – a Blackburn i ragazzi furono accolti come eroi, con la banda cittadina che suonava e capitan Warburton che disse che la coppa in città era la benvenuta, e mai sarebbe tornata a Londra.
Ultimi calci Olympics
Anche se il professionismo doveva ancora ufficialmente arrivare, era chiaro che i soldi contavano anche nel calcio di allora: molti club capirono che quanto avevano realizzato degli operai di Blackburn era ripetibile, e fu così che nel giro di pochi anni il club perse un pezzo dopo l’altro.
Il primo ad andarsene, per vestire proprio la maglia dei rivali Rovers, fu il portiere Hacking, seguito poi anno dopo anno da altri eroi di quella splendida impresa. Quelli che erano rimborsi gonfiati divennero stipendi, e il prezzo per restare nell’élite divenne immediatamente troppo alto.
Sidney Yates non poteva né voleva più permettersi i costi di gestione della squadra, e con la mancanza di vittorie venne presto a mancare anche l’affetto del pubblico cittadino, che si orientò quasi esclusivamente a favore dei Blackburn Rovers capaci di vincere le successive tre edizioni della FA Cup.
Con l’arrivo della Football League fu stabilito che soltanto una squadra avrebbe potuto rappresentare la città, e ovviamente la scelta cadde sui ricchi Rovers pluri-vincitori di coppa, acuendo la crisi economica di un club che ormai era vicino alla bancarotta, e che vedeva i suoi migliori giocatori andare dove erano meglio retribuiti.
Il Blackburn Olympic tentò di sopravvivere unendosi al The Combination, un campionato composto dalle compagini escluse dalla Football League che però ebbe scarso successo e durò appena mezza stagione, quindi nel 1889 chiuse i battenti per sempre, consegnandosi alla storia e alla leggenda.
Eredità immortale
Quello che rimane, di una squadra vissuta poco più di un decennio, è moltissimo: il Blackburn Olympic rivoluzionò il calcio dalle fondamenta, estromettendo i vecchi gentlemen e portando nel football la corsa, la resistenza fisica, l’allenamento, i ritiri e il gioco di squadra.
Durò un attimo, ma fu un attimo stupendo, quello di una gruppo di operai che giocavano come un solo uomo e che cambiarono la storia della disciplina per sempre, strappando il football dall’elite che fino a quel momento lo aveva praticato e donandolo al popolo, al quale da allora appartiene.
SITOGRAFIA:
- Simkin, John (settembre 1997) Blackburn Olympic, Spartacus Educational
- Green, Tom (ottobre 2006) Blackburn Olympic 1883, When Saturday Comes
BIBLIOGRAFIA:
- Phythian, Graham (2007) Shooting Stars: The Brief and Glorious History of Blackburn Olympic 1878–1889, Tony Brown
- Sanders, Richard (2010) Beastly Fury – The Strange Birth of British Football, Bantam Books
- Brown, Paul (2012) The Victorian Football Miscellany, SuperElastic
- Cola, Simone (2016) Pionieri del Football: storie di calcio vittoriano 1863-1889, Urbone Publishing