A Marsiglia, il portiere brasiliano Jaguaré Bezerra de Vasconcelos se lo ricordano molto bene. Uno dei primi idoli del club, personaggio eccentrico e abile tra i pali al punto da guadagnarsi il soprannome di “El Jaguar“, Vasconcelos in Francia ci era arrivato dopo una vita a dir poco avventurosa, che dal natio Brasile lo aveva portato in Europa alla ricerca di soldi e fama.
Tutto era cominciato nei porti brasiliani, dove giocando nelle pause di lavoro era stato notato da un difensore del Vasco da Gama, Espanhol, che lo aveva convinto a unirsi alla squadra. Siamo alla fine degli anni ’20, il professionismo è visto come il male, e allora Jaguaré, che tutti chiamano “il ragno nero” (“Araña Negra“) per via della sua grande abilità, approfitta di un tour europeo del club per entrare in contatto con gli spagnoli del Barcelona, i quali dopo esserne rimasti impressionati offrono un contratto a lui e all’amico Fausto dos Santos, centromediano tanto esile quanto elegante.
La legge però vieta ai club spagnoli di ingaggiare stranieri, e quando viene proposto ai due di chiedere la naturalizzazione, fiutando il clima tutt’altro che sereno che si respira in Spagna, i due rifiutano. Tornano in patria, dove però sono visti come mercenari, traditori, persone di poco spessore e degne di nessun rispetto.
Mentre Fausto rimane in Brasile, riguadagnandosi l’onore perduto e chiudendo alla grande nel Flamengo – prima di morire prematuramente, a 34 anni, per via della tubercolosi – Jaguaré torna in Europa, cercando ingaggio in Italia: vi rinuncia per via dell’appena esplosa guerra in Etiopia, ripiega per il Portogallo prima e per la Francia poi, accasandosi all’Olympique Marsiglia, dove si diverte e diventa un eroe dei tifosi.
Alcune prestazioni sono incredibili, come quando contro il Sète prima segna un rigore – unico portiere nella storia del club francese – e poi ne neutralizza due.
Pessimo amministratore dei propri guadagni, conclusa la carriera torna in Brasile ed è costretto a riprendere il vecchio lavoro al porto, dove nessuno dei colleghi crede minimamente alle grandi avventure che lo hanno visto protagonista e che lui racconta ogni giorno, tentando di rivivere un periodo felice che non tornerà più.
Scompare per qualche anno, poi di lui si parla ancora quando i giornali riportano la notizia della sua morte, tragica e misteriosa, in seguito a una zuffa con la polizia, avvenuta forse sotto i fumi dell’alcol. Scompare così, poco più che quarantenne, il grande Jaguaré Bezerra de Vasconcelos, “Araña Negra”, il primo a indossare i guanti da portiere in Brasile e il primo vero professionista di questa terra tanto generosa con il futebol quanto capace di dimenticare i suoi numerosi eroi.
Enzo Palladini ne racconta magistralmente la parabola, insieme a quelle di tanti altri sconosciuti protagonisti del calcio brasiliano, nel suo “Scusa se lo chiamo futebol” (Edizioni InContropiede)