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Neil Franklin e il sogno sfumato di “El Dorado”

“Vivremo meglio di qualsiasi altro calciatore al mondo!”

Furono queste le parole che Neil Franklin pronunciò non appena sbarcò in Colombia. Parole certo non di circostanza, ma basate su quelli che a tutti gli effetti parevano fatti, solidi e inattaccabili. Colui che nel 1950 poteva tranquillamente essere considerato il miglior difensore al mondo, però, non poteva sapere quanto si sbagliava.

Quello che aveva appena raggiunto, più che il famoso El Dorado calcistico di cui tanti parlavano nella vecchia Europa, avrebbe rappresentato la brusca fine di una carriera che era appena cominciata. E che con alcune scelte diverse avrebbe potuto essere straordinaria, tra le migliori di sempre.

Nato a Stoke-on-Trent il 24 gennaio del 1922, Cornelius “Neil” Franklin si era dimostrato fin da giovanissimo un talento tanto precoce quanto straordinario, firmando un contratto da professionista ad appena 17 anni con lo Stoke City dopo aver fatto faville nella principale scuola calcio del club. Mediano destro abile in entrambe le fasi, si era trovato immediatamente proiettato in prima squadra insieme a diversi compagni delle giovanili.

Lo scoppio delle seconda guerra mondiale, e la conseguente partenza di molti membri della prima squadra per il fronte occidentale, aveva infatti accelerato quello che, considerato il talento, sarebbe stato un percorso inevitabile. Mentre molti campioni morivano al fronte, Neil Franklin si era dunque distinto nei tornei regionali che la Football Association istituì in luogo del campionato, e che denominò War League.

Neil Franklin e la War League

Non si parlava di tornei regolari, veri e propri. Ma comunque di confronti che da una parte intrattenevano il pubblico e dall’altro testavano i giovani talenti inglesi. Ammesso, naturalmente, che la guerra finisse presto e che questi venissero risparmiati dal fato, dalle bombe e dalle pallottole.

È quanto accaduto a Neil Franklin. Spostato in difesa per sostituire il capitano Billy Mould, volato in Europa per guidare i compagni nelle trincee della Normandia, ha avuto tempo per brillare prima di essere bruscamente chiamato, con la maggiore età, ai propri doveri verso la patria.

Sul campo Neil si è dimostrato un difensore eccezionale, possente nei contrasti ma molto abile nell’impostare l’azione, retaggio del suo passato da centrocampista. È straordinariamente sicuro di se, compie dribbling al limite della propria area umiliando gli attaccanti avversari, che si aspettano il solito rilancio in avanti, un po’ a casaccio, tipico dei difensori dell’epoca.

“Era un grande giocatore, ma davvero imprevedibile. Se era pressato mi gridava ‘Dennis, andiamo!’ e io avanzavo aspettandomi un retropassaggio. Nove volte su dieci, invece, si voltava su se stesso e ripartiva in avanti. Era come giocare in un campo minato. Non credeva di poter avere una giornata storta, ed era l’unico a non innervosirsi mai.”

(Dennis Herod, portiere dello Stoke City dal 1940 al 1953)

Una personalità talmente marcata, nonostante la giovane età, da far si che oltre al ruolo erediti da Mould anche la fascia di capitano. Almeno, appunto, fino a quando il dovere chiama: nel febbraio del 1941 Neil Franklin si arruola nella RAF, e in città sono in molti a chiedersi se tornerà dal fronte.

A un passo dal sogno

Il fato si dimostra benevolo con il giovane campione, e nel campionato 1946/1947, che è anche il primo vero e proprio torneo dopo la fine della guerra, lo Stoke City disputa quella che è la miglior stagione della sua storia. La retroguardia, dove Mould e Franklin adesso formano la coppia difensiva titolare, è solidissima; in avanti i gol arrivano grazie a Freddie Steele e Alex Ormston.

La stella della squadra è Stanley Matthews, unanimemente considerato il più grande calciatore al mondo. Soprannominato “The Wizard of Dribble“, con la sua classe straordinaria è capace di intimidire gli avversari per poi colpirli con una fuga inarrestabile, conclusa immancabilmente con cross precisi che vanno soltanto spinti in rete.

Il problema, però, è che Matthews e il manager del club, Bob McGrory, sono da tempo ai ferri corti per via di antiche ruggini risalenti a quando erano entrambi compagni di squadra. Si parla di soldi, di rispetto, di vecchi rancori che trovano una conclusione nel momento meno opportuno.

Quando mancano tre giornate alla conclusione di un campionato che ha visto lo Stoke duellare per il titolo con il Liverpool, Matthews viene clamorosamente ceduto al Blackpool. La squadra, privata della sua stella, si perde, fallendo all’ultima giornata un’occasione che non si ripresenterà mai più: battere lo Sheffield United vorrebbe dire essere, per la prima volta, sul tetto d’Inghilterra. Campioni.

Ma arriva una clamorosa sconfitta per 2-1, il sogno sfuma sul più bello. Mai più lo Stoke City arriverà tanto vicino alla vittoria. Senza Stanley Matthews, nonostante la convinzione di McGrory del fatto che nessuno è indispensabile, lo Stoke City crolla verticalmente. L’anno successivo a quello della grande illusione è 15°, quello ancora dopo 11°. Nella stagione 1949/1950, infine, arriva un’incredibile retrocessione.

Sempre tra i migliori

Neil Franklin è rimasto, e nonostante l’inarrestabile declino del club ha continuato ad essere lo splendido difensore che in tanti avevano intravisto prima della guerra. Se ne è accorto anche il selezionatore dell’Inghilterra Walter Winterbottom, che lo ha fatto esordire nel 1946 contro l’Irlanda e che, da allora, non se ne è mai privato nonostante il declino dei Potters.

La Nazionale di Sua Maestà, mentre la stagione 1949/1950 si avvia alla sua conclusione, sta preparando il suo esordio ai Mondiali di calcio della FIFA a lungo, troppo a lungo, snobbati.

Quelli che ancora si considerano i maestri del football intendono mostrarsi al meglio, e insieme a nomi mitici come Matthews, Mortensen, Mannion, Milburrn e Finney ci dovrebbe essere anche quello di Neil Franklin, ancora definito “il miglior difensore al mondo” dalla stampa, che giudica il suo modo di interpretare il ruolo “la perfezione”.

Invece Franklin, in Brasile, non ci sarà. E la vittoria in aprile contro la Scozia, che qualifica l’Inghilterra, sarà l’ultima di 27 gare disputate nell’arco di appena quattro anni, una cifra impressionante considerati i rari impegni internazionali dell’epoca.

Frustrato dal sistema contrattuale vigente in patria, infatti, Franklin si è reso conto che pur percependo il massimo salariale concesso dalla Football Association, 12 sterline alla settimana, queste non sono che spiccioli rispetto a quanto incassano i club dai botteghini. Il football è nella sua fase di massima ascesa, e lui ne è una stella: perché accontentarsi delle briciole?

Lasciare lo Stoke sarebbe, forse, possibile. Del resto uno come Franklin sarebbe il benvenuto per qualsiasi manager, sarebbe amato da qualsiasi tifoseria. Ma il problema dell’ingaggio, che ha un tetto massimo valido in tutta l’Inghilterra, non potrebbe essere risolto. Eppure, forse, esiste una scappatoia.

Fuga in Sud America

Luis Robledo è un uomo d’affari colombiano che, in gioventù, ha studiato a Cambridge e si è innamorato del football inglese. Nel 1950 è il presidente dell’Independiente Santa Fe, una delle squadre che disputa quello che è ormai noto da qualche anno come El Dorado.

Si tratta della Primera A, il massimo torneo calcistico colombiano: assolutamente illegale, tanto che la FIFA ha espulso la Colombia dal suo organigramma, smuove una massa talmente enorme di denaro – dalla dubbia e spesso sporca provenienza – da aver convinto alcuni dei migliori calciatori del pianeta a prendervi parte.

Accanto ai nomi di Pedenera, Di Stéfano e Heleno de Freitas, dunque, ecco che El Dorado potrà schierare anche quello di Neil Franklin. Robledo offre infatti al difensore 100 sterline a partita, affitto gratuito per lui e la famiglia e 3.000 sterline come premio alla firma, l’equivalente di quanto un top player, in Inghilterra, guadagnerebbe in quattro anni.

Impossibile dire di no

È un’offerta chiaramente irrinunciabile, che metterebbe economicamente al sicuro la sua famiglia per sempre. Franklin prima spiega a Winterbottom che non potrà partecipare ai Mondiali in quanto desideroso di stare con sua moglie, che è incinta del secondo figlio. Poi, quando la verità viene a galla, ignora lo stesso CT che lo invita a ripensarci, di valutare bene tutte le conseguenze.

Non c’è niente da fare. Neil Franklin raggiunge la Colombia l’8 maggio del 1950, raggiunto dal compagno George Mountford e dall’ala del Manchester United Charlie Mitten. Poco più di un mese dopo, il 29 giugno, l’Inghilterra cade nel celebre “Miracolo di Belo Horizonte” contro i dilettanti degli Stati Uniti, stesa da un gol del lavapiatti haitiano Joe Gaetjens.

Il ritorno a casa è amaro, e sia nella stampa che negli appassionati monta una spietata critica che coinvolge, inevitabilmente, anche i tre “mercenari”, fuggiti in Sud America alla ricerca di denaro rinunciando ad ogni valore sportivo. Avidi, squallidi, traditori: Franklin, Mountford e Mitten vengono definiti in molti spregevoli modi, ed è chiaro che il calcio inglese ha chiuso loro le porte

Così, quando appena due mesi dopo averla raggiunta Neil Franklin lascia la Colombia, ecco che è a tutti gli effetti persona non desiderata dalla Football Asssociation, che tanto per cominciare lo sospende per quattro mesi non appena torna in patria.

Una dorata illusione

L’esperienza nell’El Dorado è durata appena sei gare, in cui peraltro questo straordinario difensore si è tolto la soddisfazione di segnare il primo gol in carriera. Sei gare, poco meno di un mese, il tempo di capire che non ci sarebbe mai stato futuro per Franklin e la sua famiglia in un Paese tanto diverso dal loro.

La Colombia è in una fase caldissima della sua storia, nota come la Violencia e cominciata nel 1948 con l’omicidio politico del leader del Partito Liberale Jorge Eliécer Gaitán. L’El Dorado è nato per questo, per distrarre le masse dai tanti omicidi che sconvolgono il Paese – moriranno oltre 300.000 colombiani nel giro di cinque anni – ma chiaramente non basta a mantenere un clima accettabile.

Con il coprifuoco generale fissato alle 18,30 e che non permette di avere una vita sociale, con la sensazione di avere a che fare con molti malavitosi e di essere un bersaglio per i più poveri, le famiglie di Franklin e Mountford si trovano presto a vivere in un incubo, piuttosto che nel sogno che avevano dichiarato di aspettarsi dopo essersi lasciati alle spalle l’Europa.

Errore fatale

Osteggiati dai compagni di squadra argentini, con cui è impossibile tanto trovare un’intesa tanto in campo quanto fuori, ai due non rimane che fare i bagagli e fuggire da un baraccone che, nel giro di un paio d’anni, si smobiliterà improvvisamente. Charlie Mitten, che ha lasciato la Nazionale e il Manchester United per fuggire in Colombia, resisterà invece un’intera stagione, diventando noto come “The Bogotà Bandit“.

Il fantasmagorico “premio alla firma” promesso a Franklin non sarà mai corrisposto: approfittando della situazione tesa, Robledo si defila e corrisponde al difensore appena una settimana di paga, il necessario per imbarcarsi sul primo aereo disponibile e poco più. Fidarsi di certi impresari, buttarsi così a capofitto in un’avventura di cui non conosceva i dettagli, è stato per Neil un errore fatale. Un errore che la Football Association non gli perdonerà mai.

Distrutto nel morale, incredibilmente più povero di quando era partito, Neil Franklin torna in Inghilterra e trova un clima di indifferenza, se non di ostilità. Lo Stoke City lo esclude da ogni suo impegno, la Nazionale lo ignora e lo stesso accade con tutti quei club che fino a pochi mesi prima avrebbero fatto follie per assicurarsene le prestazioni.

Un vero e proprio ostracismo, che ha la sua conclusione quando nel 1951 viene acquistato dall’Hull City, squadra di seconda divisione guidata dal player-manager Raich Carter, ex-stella del Sunderland. Nonostante la fallimentare esperienza in Colombia, e il fatto che abbia ormai 29 anni e sia fermo da una stagione, il cartellino di Neil Franklin viene pagato 22,500 sterline, risultando il difensore più costoso al mondo.

Il triste declino di Neil Franklin

Pur potendo vantare i due migliori giocatori della Second Division, i Tigers di Hull sfiorano soltanto la promozione. Il fato non ha ancora smesso di accanirsi con Franklin, che nel giro di poche stagioni subisce una serie di infortuni e acciacchi come mai prima gli era successo e che lo trascinano verso un inesorabile declino.

Chiude nel 1961, a 39 anni, vestendo la maglia del modesto Macclesfield Town dopo brevi stint nel Crewe Alexandra e nello Stockport County a cui ha fatto seguito un nuovo viaggio, stavolta in Nuova Zelanda come player-manager del Wellington Town. Appesi gli scarpini al chiodo prova a dedicarsi alla carriera di allenatore, ma anche qui la fortuna non è dalla sua parte.

Prima prova a Cipro, guidando i campioni dell’APOEL fino a quando lo scoppio della guerra civile non lo costringe a fare le valigie. Poi sembra trovare la sua dimensione al Colchester United, guidandolo alla promozione in Third Division, ma è un fuoco di paglia: l’anno dopo il club retrocede e viene licenziato.

Neil Franklin, nel 1962 – dopo un nuovo ritorno a Wellington – abbandona per sempre il calcio. Uno sport a cui avrebbe potuto dare moltissimo e di invece fu figura poco più che marginale, soprattutto considerando il potenziale di quello che per anni fu definito “il miglior difensore al mondo”.

Rimorsi e rimpianti

Fu così che lo descrisse il grande Tom Finney, mentre Stanley Matthews lo ricorderà con ancora più entusiasmo nella sua autobiografia The Way it was.

“Neil sconfiggeva chiunque in elevazione, contrastava con superba scelta di tempo. E quando il pallone era ai suoi piedi, aveva la capacità di passarlo con la scaltrezza e l’intelligenza del migliore dei registi. Il busto eretto, era dotato di grande velocità e di uno scatto nei primi quattro-cinque metri da lasciare senza fiato.”

Poco dopo la sua fuga in Colombia, e il conseguente ban a vita dalla Nazionale, l’Inghilterra avrebbe vissuto uno dei suoi peggiori momenti calcistici della storia, finendo per essere distrutta dalla “Squadra d’Oro” ungherese in due storiche occasioni.

Billy Wright, che era stato arretrato in difesa proprio per coprire l’assenza di Franklin, e che mai riuscì a fermare le avanzate di Puskás e compagni, avrebbe poi sottolineato come forse con Neil in campo le cose sarebbero andate diversamente.

“Neil aveva uno stile superbo, con un innato senso della posizione. Se si fosse accontentato di quanto guadagnava allo Stoke, avrebbe giocato con la Nazionale per almeno altri quattro anni. Spesso mi domando che differenza questo avrebbe fatto nella mia carriera.”

Nessuno sconto

Nessuno potrà mai sapere come sarebbero andate le cose, perché con i se e con i ma, appunto, non si fa la storia. Ma certo è che qualcosa, nel football inglese, cambiò per sempre nell’estate del 1950. Quando il miglior difensore del Paese, stanco di essere sfruttato dal suo club, fuggì in Colombia alla ricerca di un sogno finto come il campionato di mercenari che lo rappresentava.

Negli ultimi anni della sua vita Neil Franklin gestì un bar a Sandon, “The Dog and Doublet”, adornato con i suoi cimeli calcistici. Non è difficile immaginarlo, circondato dalle sue maglie e dai suoi caps della Nazionale, raccontare la sua vita agli avventori. Probabilmente con un pizzico di amarezza e non pochi rimpianti.

Dello Stoke e della guerra, della Nazionale, della Colombia, di un sogno chiamato El Dorado. Di una decisione avventata, forse sciocca. Un solo, maledetto, errore. Ma che “il miglior difensore al mondo” degli anni ’50 pagò fino all’ultimo e senza mai ricevere sconti.


SITOGRAFIA:

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