Quando Charles Wreford-Brown morì, il 26 novembre del 1951, il calcio stava definitivamente lasciandosi alle spalle il periodo dei pionieri per trasformarsi nello sport moderno: i maestri inglesi avrebbero subito nel giro di pochi anni due pesanti scoppole dalla “Grande Ungheria”, che avrebbe smontato per sempre il mito dei “Leoni di Sua Maestà” imbattibili nella disciplina da essi stessi inventata.
Una disciplina che Wreford-Brown contribuì in modo sostanziale a far diventare grande, ma della quale non seppe mai accettare i risvolti economici e politici: per lui il soccer – termine che si dice fu lui stesso a inventare, contrazione del termine association – doveva rimanere disciplina sportiva nobile e giocata senza secondi fini, ma solo per la gioia della sfida e l’appagamento del pubblico.
Uno splendido football gentleman
Di famiglia facoltosa, Wreford-Brown era nato a Bristol nell’ottobre del 1866 ed aveva frequentato, come molti appartenenti alla sua stessa classe sociale, la Carterhouse School, dove si era appassionato a molte discipline sportive: buon portiere di football, era anche un eccellente giocatore di cricket e un più che discreto giocatore di scacchi.
Fu comunque nella prima di queste discipline che divenne noto, una volta smessi i panni del portiere e piazzatosi al centro della difesa: ottimo full back, dotato di senso dell’anticipo e grande leadership, era irruento ma mai anti-sportivo, e si distinse prima negli Old Carthusians – la squadra degli ex-studenti della sua scuola – e poi nella più forte squadra non professionistica mai esistita, i giramondo del Corinthian, di cui fu a lungo il capitano e il punto di riferimento.
Una squadra incredibile, quella “corinthiana”, capace di influenzare la crescita del calcio in ogni latitudine e sempre promuovendo i veri valori dello sport, valori che secondo Wreford-Brown non potevano essere “sporcati” dal vile interesse economico.
Uno degli ultimi simboli dell’amateur football
Nel 1898 capitanò l’Inghilterra in un importante match valido per il British Home Championsip: la squadra era formata in parte da giocatori professionisti e in parte da amateurs, e tra queste due tipologie di giocatori erano spesso forti i contrasti, che portavano ad avere carrozze del treno distinte e utilizzo degli spogliatoi a turni. Wreford-Brown giocò la gara tenendo in tasca delle Sovrane, monete d’oro in uso all’epoca, con cui premiava i compagni professionisti quando segnavano, incoraggiandoli in tale pratica anche quando la gara era al sicuro.
Fu questa l’ultima di 3 partite giocate con la Nazionale, 2 da capitano: la prima presenza era arrivata nel 1892 come rappresentante degli Old Carthusians, quindi nel 1894 l’Inghilterra si era vista addirittura rappresentare interamente dal Corinthian, evento mai più ripetuto da nessun altro club.
Anche dopo il ritiro Wreford-Brown continuò a darsi da fare per diffondere il verbo del soccer, sempre restando in bilico tra il mondo amateur e quello professionistico che mai aveva apprezzato ma che dovette infine accettare: fu fondatore di diverse leghe amatoriali, ma anche membro influente del Comitato Tecnico per la Nazionale inglese, di cui in pratica fu l’allenatore. Degli scacchi non fu mai semplice appassionato, ma giocatore valente che partecipò anche ai campionati nazionali del 1933, ritirandosi solo per motivi di salute.
Al servizio dello sport
Fu inoltre il responsabile della Gran Bretagna anche alle Olimpiadi di Berlino del 1936, laddove i suoi furono eliminati ai quarti di finale dalla Polonia per colpa di un primo tempo giocato assolutamente sotto i propri standard. In seguito fu vice-presidente della Football Association, ponendo insieme al presidente Stanley Rous le basi per il calcio del futuro, istituendo accademie e settori giovanili volti a crescere i tanti ragazzi che sempre più entusiasticamente si avvicinavano al calcio. Charles Wreford-Brown fu un ottimo calciatore, un ancor più grande dirigente e soprattutto un eccezionale uomo di sport, e il suo contributo nella storia del football (o soccer) è stato fondamentale.
Disegno di Sara Provasi