domenica, Ottobre 6, 2024

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Tra finte e zagaglie: l’incredibile avventura degli Sheffield Zulus

Quando il pubblico che aveva preso posto sugli spalti del Recreation Ground di Chesterfield, il 24 novembre del 1879, vide entrare gli Sheffield Zulus, la misteriosa squadra che avrebbe affrontato i beniamini locali, non furono pochi i presenti che dovettero stropicciarsi gli occhi per capire l’inganno.

Gli appassionati di football presenti in città avevano infatti acquistato il biglietto spinti dalla curiosità di assistere a una gara tra i propri migliori rappresentanti e l’esotica selezione arrivata a giocare in nome del Regno Zulu. E quando gli ospiti fecero il proprio ingresso il campo la folla rimase ammutolita.

Sheffield Zulus, sfida all’Impero del football

Fu il capitano degli africani, Re Cetewayo, a prendere la parola e a rivolgersi ai presenti in un inglese decisamente decoroso: oltre a combattere strenuamente i britannici nel lontano Sud Africa, disse, gli Zulu erano pronti a sfidare i sudditi di Sua Maestà anche a casa loro. E di farlo nel football, il gioco che stava lentamente ma inesorabilmente diventano lo sport nazionale inglese.

Cetewayo e i suoi, dunque, avrebbero percorso l’Inghilterra cercando avversari all’altezza, accontentandosi di mietere vittorie e lasciando l’incasso delle sfide al popolo inglese, che avrebbe potuto così utilizzare il denaro per aiutare le tante famiglie private di un proprio caro caduto al fronte.

Magari trafitto da una zagaglia, la lunga lancia utilizzata dai guerrieri in battaglia, come quelle che gli Zulu mostrarono orgogliosi, prima di esibirsi in una singolare danza rituale che avrebbe preceduto il calcio d’inizio. C’era da crederci?

Gli Harlem Globetrotters dell’epoca vittoriana

Ovviamente no. Prima di tutto perché, agli occhi degli spettatori, quegli uomini che goffamente imitavano i temibili guerrieri africani apparivano britannici tanto quanto loro e gli eroi locali. Certo le lance e gli scudi mostrati potevano essere veri, ma non bastavano certo alcune piume cucite alle tenute di gioco, le lunghe calze nere e i visi evidentemente anneriti dal carbone a rendere il trucco riuscito.

Quei giocatori non erano altro che vere e proprie stelle del calcio a Sheffield, in un’epoca in cui la Steel City era una realtà florida con decine di squadre, una propria Football Association e proprie regole. E fu per questo motivo che quasi immediatamente il team divenne noto come Sheffield Zulus: campioni che impersonavano guerrieri africani in un’epoca in cui sport-spettacolo come il wrestling o gli Harlem Globetrotters erano meno di un’idea.

Gli Zulus proposero per la prima volta l’intrattenimento legato al calcio, e come si sarebbe scoperto in seguito non solo quello. Al pubblico presente andava bene così: tifare per 90 minuti contro fortissimi, quasi imbattibili, avversari africani, in una sospensione dell’incredulità che poteva interrompersi a tratti quando le giocate erano particolarmente spettacolari. Si parlava, del resto, di veri e propri artisti del pallone.

The Sheffield Zulus

La formazione che giocò la prima partita degli Sheffield Zulus, vinta con uno spettacolare 5-4, era la seguente: Ulmathoosi (H. Hinchcliffe); Cetewayo (Thomas Buttery), Methlagazulu (J Slack); Sirayo (Arthur Malpass), Dabulamanzi (Jack Hunter); Umcilyn (A. Ramsden), Muyamani (G. Anthony), Ngobamalrosi (A. Woodcock), Jiggleumbengo (Tom Cawley), Amatonga (S. Lucas). Il poderoso e pittoresco attaccante Magnenda era il ben noto James Reddie Lang, probabilmente il primo vero professionista della storia.

Scozzese impiegato nei docks di Glasgow, privo di un occhio perso in un incidente sul lavoro, Lang era giunto a Sheffield in virtù delle sue conclamate qualità di footballer. Lo aveva assunto una ditta produttrice di coltelli il cui proprietario era un tifoso del The Wednesday, che gli aveva consentito di stare tutto il giorno seduto su uno sgabello invece che lavorare. L’importante era che non facesse mancare la sua classe in campo il sabato.

Sheffield, città del football

Gli Zulus erano nati dall’idea di un certo Mister Brewer, un imprenditore di Fargate, dintorni di Sheffield. Appassionatosi al football che tanto andava per la maggiore in città – non bisogna scordare che qui, in effetti, nacquero le prime squadre di calcio al mondo e qui si tenne il primo torneo calcistico di sempre – aveva nel tempo conosciuto i migliori protagonisti di quella che considerava un’arte.

Aveva quindi avuto l’idea di mescolare tanta bravura a un pizzico di recitazione per creare quella che, in effetti, negli anni successivi i maggiori esperti di storia del calcio avrebbero affermato potesse essere considerata la prima squadra professionistica di sempre.

Proprio così. Perché mentre ufficialmente gli Sheffield Zulus, che continuarono a percorrere l’Inghilterra imbattuti e attirando sempre più pubblico, dichiaravano di devolvere gli incassi alle vittime di una guerra che si era portata via molti giovani inglesi, la verità era che gran parte dei soldi guadagnati con il proprio spettacolo questi calciatori se li dividevano tra di loro.

Dal campo di guerra al campo di calcio

Per capire il contesto per cui gli Sheffield Zulus ebbero tanto successo, bisogna fare un passo indietro: nel gennaio del 1879, continuando a inseguire i suoi interessi coloniali in Africa, la Gran Bretagna aveva invaso il territorio degli Zulu, una tribù africana che si era frapposta al dominio dell’uomo bianco in territori che, giustamente, sentiva da sempre come suoi.

Sottovalutando gli avversari, considerati poco più che primitivi, i britannici erano incappati inizialmente in alcune tremende batoste, quando accerchiati da nemici privi di armi da fuoco erano stati massacrati in gran numero e in un modo alquanto brutale.

Anche dopo aver ripreso le redini di una guerra che avrebbe avuto un solo e inevitabile vincitore, l’Impero Britannico aveva a lungo tremato di fronte ai racconti della battaglia di Rorke’s Drift o di quella di Isandlwana, del temibile urlo di battaglia uSuthu! e al fatto che i sudditi di Cetewayo non avevano fatto alcun prigioniero, finendo sul posto i nemici sconfitti.

Zulu man ok

Ecco perché l’idea di Mister Brewer aveva avuto tanto successo. Alla curiosità di vedere i migliori giocatori di football dell’Hallamshire, infatti, si univa la possibilità di avere un nemico da fischiare, in una sospensione della realtà che mai prima e mai dopo si sarebbe vista nel football. Il pubblico non era così composto solo ed esclusivamente da appassionati di calcio, ma anche da chi seguiva con apprensione l’esito della guerra lontana, che vedeva coinvolti tanti giovani figli d’Albione.

Una squadra imbattibile

Ma la soddisfazione di una vittoria, quella non fu mai concessa dagli orgogliosi “zulu inglesi” al popolo a cui essi stessi, in realtà, appartenevano. Re Cetewayo, che era il capitano Thomas Buttery, aveva circa cinquant’anni quando il tour ebbe inizio, ma si mostrò sempre difensore invalicabile, mentre Jack Hunter, stella dell’Heeley e già nazionale inglese, orchestrava le azioni nel ruolo di centromediano con la solita, innegabile, classe.

In attacco spiccava l’ala Billy Mosforth, “The Sheffield Dodger”, anche lui a lungo stella della Nazionale e inventore tanto del tiro “a effetto” quanto del vendere i propri servigi al miglior offerente: aveva giocato in tutte le squadre di Sheffield, indossando le varie divise in cambio di casse di birra, cene pagate o conti saldati al mercato. Di Reddie Lang abbiamo già detto precedentemente.

In realtà nel corso del loro lungo tour gli Zulus alternarono molti giocatori, mantenendo sempre e comunque un livello alto di spettacolo abbinato al rendimento. Non conobbero infatti mai sconfitta, pur non giocando esclusivamente per il risultato, statistica che la dice lunga sulla loro qualità tecnica complessiva. Chi li osservava non poteva che rispettarli, se non ammirarli.

Per capire quanto fu grande l’idea dietro agli Sheffield Zulus basti pensare che, in un’epoca in cui la finale di FA Cup al Kennington Oval di Londra richiamava tra i 5.000 e i 6.000 spettatori, già dalla seconda gara ufficiale “Re Cetewayo” e compagni riuscirono a richiamare allo stadio ben 2.000 persone, numeri che rimasero stabili in ognuna delle esibizioni che li videro protagonisti.

La fine degli Sheffield Zulus

A segnare l’improvvisa fine degli Sheffield Zulus fu l’accusa di professionismo che la Football Association, già seccata dallo spettacolo, rivolse ai giocatori mentre si preparavano a ripetere il tour in Scozia. Accuse ignorate dalla squadra già in viaggio, ma che poi al ritorno finirono, insieme alle inaspettate sconfitte incassate a nord del Vallo di Adriano, a determinare la chiusura della squadra.

William Pierce-Dix, rappresentante della Football Association, sospese i giocatori coinvolti e minacciò di squalificarli a vita se non avessero smesso con quella che riteneva essere una pagliacciata. Ben pagata, tra l’altro, dato che più versare soldi alle vedove di guerra gli Zulus sembravano aver preso l’abitudine di ridistribuirsi tra loro i lauti incassi del botteghino.

Verso la fine degli anni ’70 del XIX secolo, nel nord d’Inghilterra, il professionismo aveva già raggiunto Darwen e il Lancashire. Era soltanto una questione di tempo, e il football degli albori, quello giocato dai nobili figli dell’alta società, puri amateurs fino al midollo, sarebbe scomparso.

A contribuire furono anche gli Zulus, sdoganando un’idea che poi sarebbe stata ripresa da uno dei loro giocatori più attivi. Il centromediano John Hunter, infatti, avrebbe dato vita pochi anni più tardi al Blackburn Olympic, prima squadra operaia a vincere la FA Cup. Un successo che avrebbe spianato la strada al professionismo, che divenne legale nel 1885.

Nello stesso periodo sarebbe morto il vero Re Cetewayo, al secolo Cetshwayo kaMpande, ultimo Re dell’Impero Zulu. Nel 1883, preso prigioniero dagli inglesi, aveva visitato Londra incontrando anche la Regina Vittoria, a cui aveva destato un’inaspettatamente ottima impressione. E chissà se qualcuno gli raccontò mai cosa fosse il football, e di come il suo popolo, pur senza saperlo, avesse contribuito a scriverne la storia.


SITOGRAFIA:

  • Oates, Tim (04/09/2008) The Sheffield Zulus: Harlem Globetrotters of Football’s past, Bleacher Report
  • Brown, Paul (2013) The Victorian Football Miscellany, p. 86 – False Zulu Dawn
  • (03/11/2015) Sheffield Zulus: Victorian Showmen, In bed with Maradona
  • Casado, Edu (18/03/2016) Quiénes fueron… los Zulus: partidos benéficos ataviados de africanos, 20minutos.es

BIBLIOGRAFIA:

  • Brown, Paul (2013) The Victorian Football Miscellany, p. 86 – False Zulu Dawn
  • Cola, Simone (2016) Pionieri del Football: Storie di calcio vittoriano 1863-1889, p. 79-80

L’immagine che accompagna questo articolo, non esistendo foto ufficiali degli Sheffield Zulus, è un’opera artistica realizzata appositamente da Sara Provasi, che potete seguire QUI.

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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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