Quando si parla del football dei pionieri, quello dei primissimi entusiasti che presero un pallone e decisero come utilizzarlo, si è portati a credere che si sia trattato di un’epoca del calcio magica e irripetibile.
Un’epoca dove eleganti gentlemen si sfidavano con entusiasmo e fair play per il puro piacere di farlo, contenti dello sforzo prodotto e consapevoli del fatto che avrebbe vinto il migliore.
E può forse darsi che, per un periodo di tempo limitato, questo sia stato vero.
Ma quando il calcio smise di essere un semplice gioco, quando folle sempre più numerose cominciarono ad accorrere intorno a quei campi che un tempo non dovevano neanche essere recintati, ecco che tutto cambiò.
Qualcuno pensò giustamente di farne un business, e chi era particolarmente dotato nel gioco e non poteva vantare un nobile retaggio, tale da permettergli di vivere di rendita, si rese presto conto che di questo sport avrebbe potuto vivere.
C’era una volta il football
Accadde nei primi anni ’80 del 19° secolo, in Inghilterra, quando l’industriale nord decise di non lasciare tutto il divertimento ai nobili ex-studenti dei dintorni di Londra e cambiò per sempre il football.
Furono i tempi del Blackburn Olympic e del Blackburn Rovers, due club della stessa città che destabilizzarono l’ordine fin lì costituito portando nel Lancashire la FA Cup per la prima volta, esempi che vennero imitati sia da quei club che erano sorti da poco, sia da quelle antiche compagini che riuscirono a capire che passare al professionismo, finalmente sdoganato nel 1885, sarebbe stato il solo modo per sopravvivere oltre le sfide da cortile.
Ai tempi la Scozia, pur continuando a rifiutare categoricamente ogni forma di professionismo, stava infliggendo agli inglesi una lezione dopo l’altra in campo internazionale.
Forse i cugini avevano inventato il gioco, sostenevano a Glasgow e dintorni, ma era indubbio che fossero stati gli scozzesi a capire come giocarlo: gli uomini delle Highlands erano più forti, lo dicevano i numeri.
Nell’anno in cui l’Inghilterra accettava un professionismo che era comunque già presente, in forma mascherata, da alcune stagioni, la Scozia poteva dire di aver perso negli ultimi 12 anni soltanto in un’occasione contro l’Inghilterra, una sconfitta peraltro ampiamente contestabile.
E che comunque certo non aveva cancellato gli incubi dei “Maestri” relativi ad alcuni clamorosi risultati: il 7-2 del 1878, il 6-1 del 1881 (a Londra!) e il 5-1 dell’anno successivo erano ancora ben presenti nella mente di quei segretari e comitati che tentavano di far progredire le proprie squadre a sud del Vallo di Adriano.
L’avvento del professionismo portò decine e decine di scozzesi a varcare il confine, raggiungendo l’Inghilterra per vendere i propri servigi calcistici al miglior offerente sull’esempio dei primi grandi apripista quali James Reddie Lang, James Love e Fergie Suter.
Furono chiamati presto scotch professors, perché oltre a portare il proprio talento portavano anche le proprie conoscenze, quelle relative a un gioco corale che mai era stato praticato nella conservativa Inghilterra, e fu naturale che questi veri e propri mercenari non furono ben visti dai footballers locali, soprattutto da quelli che per lasciar spazio ai “professori scozzesi” finivano ai margini del proprio club o che al massimo potevano giocarvi al fianco, senza però incassare neanche la metà della metà del loro stipendio.
Il Sunderland non fu immune a questa moda.
Il Sunderland di James Allan
Il club era nato il 17 ottobre del 1879 per volere di James Allan, giovane insegnante scolastico arrivato dalla Scozia. Inizialmente denominato Sunderland and District Teachers Association Football Club, dopo alcuni anni passati a formare la squadra e a prendere pratica con la disciplina aveva cominciato a fare le cose sul serio, iscrivendosi alla FA Cup del 1884.
Che adesso si trattasse di un club calcistico a tutti gli effetti era chiaro dal fatto che era sparita la scritta and District Teachers, che precedentemente riservava l’ingresso in squadra ai soli insegnanti di ruolo in città.
Al termine della stagione 1884/1885, pur avendo rimediato una sconfitta al primo turno contro il Redcar (3-1) ad Allan – che era allo stesso tempo fondatore, presidente, tesoriere e centravanti – e soci non mancava l’entusiasmo, e fu così che vennero reclutate le prime stelle scozzesi della storia del club, giocatori che avrebbero dovuto garantire un futuro radioso insegnando allo stesso tempo ai giovani in città i segreti del football.
Non fu per invidia verso i più pagati, stimati e abili colleghi delle Highlands che Allan lasciò la squadra pochi anni dopo.
Il Sunderland AFC era davvero diventato una squadra di tutto rispetto, ma l’evoluzione aveva fatalmente portato a un ingrandimento del comitato direttivo, e quello che poteva essere considerato il padre del calcio cittadino, e che continuava ad insegnare con profitto e passione, non si era più ritrovato a condividere le scelte del club da lui stesso ideato.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata l’eliminazione in FA Cup patita nel dicembre del 1887: pur avendo vinto al replay, 4-2, contro il Middlesbrough, il Sunderland era stato squalificato dalla Football Association per aver schierato tre calciatori (Hastings, Monaghan e Richardson) che non avevano i requisiti per giocare: il professionismo era stato accettato, ma a patto che riguardasse chi era nato nella città del club o chi vi vivesse da almeno due anni.
Non era il caso dei tre giocatori, che la maggioranza del comitato direttivo aveva fatto arrivare in fretta e furia da Dumfries e fatto alloggiare a spese del club in un hotel cittadino, come aveva scoperto la FA non potendo fare altro che squalificare i Black Cats.
Il Sunderland Albion
Pochi mesi dopo, nel marzo del 1888, nasceva il Sunderland Albion.
Era la nuova creatura di Allan, che era stato messo in disparte dai soci del vecchio club, e oltre ad avvalersi dei gol dello storico pioniere scozzese (che in una gara contro il Castletown era andato a segno ben 12 volte, un record che resiste ancora oggi) il neonato club avrebbe potuto contare su ben sette ex-giocatori del Sunderland, che avevano seguito l’amico nella nuova avventura.
Le gare dell’Albion sarebbero state giocate al piccolo “Blue House Field”, il terreno dietro la scuola dove Allan insegnava e che era stato il primo campo del Sunderland, che adesso giocava le sue gare nel più grande impianto del “Newcastle Road”.
I giocatori dell’Albion, in quanto ex-soci, sapevano che il Sunderland presto avrebbe lasciato anche questo impianto, ed era quindi chiaro che il modesto “Blue House Field” sarebbe stato solo un terreno temporaneo, in attesa di occupare quello lasciato libero dagli ex-compagni.
Eppure, mano a mano che i mesi passavano, la situazione non cambiava: il Sunderland aveva deciso di giocare duro con i nuovi rivali cittadini, e rimandava il trasloco verso un nuovo impianto con il chiaro intento di non lasciare il terreno all’Albion e limitarne le entrate.
I vecchi tifosi del club si erano divisi, e se era logico che una buona parte di essi aveva ormai nel cuore la maglia bianco-rossa del Sunderland, non erano pochi quelli che avevano invece scelto di seguire gli idoli di un tempo nella nuova avventura.
Allan e compagni invitarono più volte il vecchio club a una sfida amichevole, ottenendo però soltanto rifiuti sdegnati: il Sunderland non intendeva riconoscere la nuova realtà locale, si diceva, ma la più cinica verità è che intendeva affondare economicamente il nuovo club, impedendogli incassi che potevano essere vitali.
Questo fu reso evidente da subito: nella prima stagione in cui i club coesistettero, 1888/1889, Sunderland Albion e Sunderland AFC furono sorteggiate come avversario sia nella County Durham Challenge Cup che nel quarto turno di qualificazione di FA Cup.
In entrambi i casi, il più ricco e antico club preferì non presentarsi sul campo, venendo eliminato dai tornei ma non concedendo ai rivali un notevole incasso, visto che erano numerosi gli appassionati di football in città che seguivano con interesse la sfida per la sopravvivenza tra i due club.
Una sfida fratricida
Quando nel dicembre del 1888, proprio venendo incontro al desiderio dei tifosi locali, il Sunderland accettò finalmente di giocare due amichevoli contro l’Albion lo fece ad una sola, precisa, condizione: l’incasso dei match sarebbe dovuto andare in beneficenza, e nessuno dei club avrebbe potuto trattenere per se un solo penny.
Orgogliosamente, deciso a farsi conoscere e consapevole che non ci sarebbe stato altro modo di sfidare i vecchi compagni, Allan accettò.
Ma nonostante l’intento delle sfide fosse una lodevole iniziativa di beneficenza, i buoni sentimenti furono lasciati al di fuori del rettangolo di gioco, e quelle che dovevano essere semplici partite di football si trasformarono in vere e proprie battaglie.
Nella seconda, andata in scena il 12 gennaio del 1889, gli animi si surriscaldarono ad un punto tale che venne scritta una delle pagine più nere e vergognose in una storia, quella del Sunderland AFC, che successivamente sarebbe stata anche nobile, pulita, eccezionale.
I giocatori del club più antico in città eseguirono una vera e propria caccia all’uomo, non risparmiando interventi così energici sugli avversari da meritare, al termine della gara, persino un’indagine della polizia.
Gli agenti si trovarono però con le mani legate, visto che non era possibile dimostrare che non si fosse trattato di una semplice, seppur rude, partita di football, e non riuscirono neanche a trovare chi, dagli spalti, aveva scagliato un sasso all’indirizzo del grande James Allan, che era svenuto dopo essere stato colpito alla testa.
Una brutta ferita, ma sicuramente non paragonabile a quelle che colpirono il suo cuore e la sua anima: per una partita di calcio, per una bandiera, quei tifosi che appena un anno prima lo applaudivano e lo ringraziavano per aver creato la squadra avevano finito per insultarlo e aggredirlo.
Sunderland, innocenza perduta
I rapporti tra Sunderland AFC e Sunderland Albion finirono qui, e qui probabilmente terminò anche la storia di un club appena nato ma già strangolato dai più potenti concittadini.
Dopo aver chiesto più e più volte di entrare a far parte della Football League, per avere quelle entrate necessarie per sopravvivere e costruirsi un futuro, l’Albion vide questo onore spettare al Sunderland, che essendo più ricco poté garantire all’associazione che gestiva il campionato il rimborso dei viaggi per i club che dovevano spostarsi così tanto a nord.
Fu l’inizio della fine per Allan e compagni, che tentarono di unirsi alla Football Alliance, dove ben si distinsero senza però riuscire a fermare l’emorragia di soldi – gli industriali che li sostenevano subirono una forte crisi economica – e di tifosi chiaramente più interessati a seguire le sorti dei Black Cats nel massimo campionato nazionale.
Nei primi anni ’90 del 19° secolo il Sunderland divenne la squadra più forte d’Inghilterra, soprannominata da Sir William McGregor “the team of all talents” per la classe dei suoi undici calciatori, e quando nel 1892 conquistò il titolo di campione d’Inghilterra la “guerra del football” di Sunderland ebbe fine.
Era ormai chiaro che in città, nel cuore dei tifosi, c’era posto per una sola squadra, una squadra fantastica che però, per diventare tale, aveva dovuto perdere la propria innocenza e rinnegare i suoi stessi padri fondatori.
James Allan ammise la sconfitta, e il sogno del Sunderland Albion, durato lo spazio di appena quattro stagioni, si concluse per sempre.
FONTI:
- Before the ‘D’…Association Football around the world, 1863-1937 – Sunderland & Sunderland Albion
- ROKERPARK.COM – Sunderland Albion
LIBRO CONSIGLIATO PER APPROFONDIMENTI:
Into the light
Into the Light reveals the full thrilling story of Sunderland Football Club – charting the club’s progress from being the first great team to dominate the Football League, to the squad which returned to the top of English soccer at the dawn of the new millennium. Hutchinson traces a journey from Newcastle Road to the Stadium of Light by way of Roker Park.
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