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Categoria: Storie di calcio

I racconti degli eroi del calcio e delle loro incredibili vite

Lutz Pfannenstiel, globetrotter inarrestabile

Ogni calciatore ha la sua storia. C’è chi da bambino sogna di giocare per la propria squadra del cuore, chi sogna di vincere coppe e trofei, giocare negli stadi più prestigiosi del mondo e magari vestire la maglia della Nazionale.

Per quei pochi che arrivano a realizzare questi sogni molti altri finiscono per essere piccole comparse nel grande racconto del calcio, magari giocando nelle divisioni minori e riuscendo comunque a fare del football il proprio lavoro ma con un pizzico di malinconia di quello che poteva essere e invece non è stato.

A volte è sfortuna, a volte mancanza di talento o di carattere, spesso una combinazione di tutte queste cose. C’è chi potrebbe deprimersi.

Ma questa è la storia di un calciatore che, pur dotato di un certo talento, ha deciso di vivere la sua vita calcistica in modo completamente diverso, inseguendo più la conoscenza che il denaro e la fama, più la crescita personale che quella sportiva. Finendo per avere una carriera unica ed inimitabile, una carriera da “Guinnes dei Primati” quasi impossibile da ripetere.

Finendo per diventare non il portiere di una squadra, o di un certo numero di squadre, o di una Nazionale, ma “il Portiere del Mondo”, un nomade inarrestabile affamato di calcio e voglia di conoscere le diverse realtà – calcistiche e non – del pianeta.

Questa è la storia di Lutz Pfannenstiel.

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Robin Friday, il più grande calciatore che non avete mai visto

Un talento eccezionale, britannico, con un innato istinto autodistruttivo e problemi di dipendenza. Qualsiasi appassionato di calcio, di fronte a questi indizi, potrebbe fare istintivamente il nome di George Best, personaggio straordinario su cui sono stati scritti libri e girati film. Quasi nessuno, invece, penserebbe a Robin Friday, una specie di leggenda urbana del calcio che a differenza del più illustre collega non ha mai giocato in massima serie, figuriamoci vincere il Pallone d’Oro.

Eppure la sua storia, in qualche modo, è entrata comunque nel mito. Diventando una specie di cult tra appassionati grazie a uno splendido libro del 1998, “The Greatest Footballer You Never Saw”, che raccontava vita e imprese di questo eroe di provincia attraverso racconti e ritagli di giornale. La vita di una vera e propria rockstar di periferia, un campione che non riuscì a essere tale. O forse non lo volle, che importa. Questa è la sua storia. La storia di Robin Friday, “il più grande calciatore che non avete mai visto”.

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Il Miracolo di Berna, spartiacque tra due ere

Quel 4 Luglio del 1954, i giocatori della Germania Ovest fissavano il campo nei momenti precedenti la partita con ferrea determinazione. Non sarebbero stati carne da macello, ma anzi avrebbero tentato di riscrivere la storia in una partita, “il miracolo di Berna”, che sarebbe entrata nella storia.

Erano ben 9 anni che l’inno nazionale non veniva suonato dal vivo in nessuna occasione, 9 anni da quando il Nazismo era stato sconfitto e in cui il popolo tedesco aveva cercato faticosamente di ricostruire sulle macerie dei bombardamenti alleati.

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Nii Lamptey, il Pelé perduto

Molte qualità servono per affermarsi nel calcio. Spirito di sacrificio, predisposizione fisica, capacità tattica e conoscenza dei fondamentali, unite a un po di fortuna, possono portarti ad essere un buon giocatore.

Ma senza il Talento, quello con la T maiuscola, non sarai mai un fenomeno. E’ il talento, una qualità innata, a fare la differenza tra essere un buon calciatore ed una stella mondiale. Il talento puro, quello che non si insegna, quello che non si spiega.

Nii Odartey Lamptey di Talento ne aveva da vendere. Eppure, dopo un inizio sfolgorante, la sua carriera è diventata via via sempre piu’ tortuosa, sempre piu’ lontana dai percorsi calcistici che contano, fino a fare sbiadire il suo nome, che oggi è conosciuto da pochi appassionati.

Questa è la storia di un ragazzo che da piccolo superò mille difficoltà grazie al suo talento ma che poi non riuscì a diventare un uomo, finendo per essere risucchiato nella periferia estrema del pallone. Un ragazzo che, però, non si è mai arreso.

Meteora o sopravvissuto? Questa è la storia di Nii Lamptey.

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Abdón Porte, “il fantasma del Parque Central”

Nel calcio le bandiere non scompariranno mai. I soldi potranno comprare qualunque cosa, persino la felicità; talvolta avranno il potere di addestrare i giocatori al ruolo di trepidi soldati mercenari all’interno di una guerra combattuta fra società calcistiche. Il fenomeno odierno del calciomercato ha sicuramente avvalorato con forza questo assioma moderno.

La storia dimostra, però, che le cose possono andare diversamente. Perché i calciatori sono esseri umani e, in quanto tali, possono amare una squadra o un club, al punto tale da un volersene mai separare.

È stato il caso di Zanetti all’Inter, Del Piero alla Juventus, Giggs al Manchester United, Totti alla Roma. Di Matthew Le Tissier, “Dio” a Southampton, e del quasi sconosciuto turco Sait Altinordu, bandiera per 27 stagioni del club da cui prese il proprio cognome.

Ma se il fenomeno delle bandiere è vivo tutt’oggi, in un momento in cui i calciatori sono trattati come celebrità professioniste superpagate, immaginate cosa poteva essere un tempo, quando chi giocava lo faceva solo ed esclusivamente per passione, per l’urlo della folla.

La storia del calcio degli albori abbonda di giocatori che hanno vissuto per la propria squadra. Qualcuno è anche morto in nome della propria bandiera, per servire la propria fede. E quella che state per leggere è la storia di uno di loro. Questa è la storia di Abdón Porte, “il fantasma del Parque Central”.

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Quattro storie di calcio e politica

Il calcio e la politica sono due cose molto diverse che però, nel corso del secolo di storia di questo sport, hanno avuto numerosi incroci.

I più famosi regimi del mondo hanno sempre visto infatti il calcio come un mezzo di propaganda, interferendo con esso. Queste sono quattro storie in cui la politica è entrata prepotentemente, spesso tragicamente, nella vita dei calciatori.

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Il fantastico viaggio di Dale Tempest, il Marco Polo del calcio

Tra le numerose storie di calcio che trovate su questo sito quella di Dale Tempest è davvero unica. La storia di un buon calciatore che, quando ancora nessuno nel calcio aveva ancora mai usato l’abusata frase “scelta di vita”, decise di lasciare il calcio occidentale per diventare un idolo delle folle di un paese asiatico, con cui strinse un rapporto unico.

Un centravanti che credeva di aver perso il treno giusto per la gloria, ma che invece di perdersi d’animo è riuscito a reinventarsi, prendendone subito un altro e diventando pioniere in un mondo sconosciuto ai più. Un salto nel buio che lo ha portato a diventare l’idolo calcistico di un intero Paese, così lontano e diverso da quello dove era nato.

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Bert Trautmann, l’Uomo di Ferro eroe di due mondi

“Ci sono stati due soli portieri di classe mondiale.
Uno era Lev Yashin, l’altro era il ragazzo tedesco che giocava a Manchester.
Bert Trautmann.”

(Lev Yashin, primo ed unico portiere a vincere il Pallone d’Oro)

Se qualcuno avesse detto a Bert Trautmann, giovane soldato tedesco prigioniero in Inghilterra al termine della Seconda Guerra Mondiale, che Albione sarebbe diventata la sua nuova casa, probabilmente lui avrebbe pensato ad uno scherzo. Se poi gli avessero detto che non solo quella sarebbe stata la sua nuova casa, ma che addirittura avrebbe avuto un posto immortale nella galleria degli eroi di sua Maestà, e grazie al calcio, avrebbe pensato che non era uno scherzo. Era delirio.

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Joe Gaetjens: il “Miracolo sull’Erba” e il gol che gli donò l’immortalità

Quel tiro da poco più di 20 metri di Walter Bahr è ben calciato ma innocuo: Bert Williams, accreditato come uno dei migliori portieri dell’epoca, non potrà essere battuto così. E infatti rapido si muove, pronto al tuffo che sventerà quell’assurdo e dilettantesco tentativo.

Quand’ecco che dal nulla spunta Joe Gaetjens, che si tuffa e di testa devia il pallone quel tanto che basta. Williams è sorpreso, la palla lentamente rotola verso la rete. È gol. Chi lo ha realizzato è ancora a faccia in giù nell’erba, forse neanche immagina di aver segnato una delle reti più importanti nella storia del calcio.

È un momento storico. È il Mondiale del Brasile, anno 1950.

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Jorge Washington Caraballo, “meglio perdello che trovallo”

Nella stagione 1982-83 il Pisa Calcio torna in Serie A dopo 13 anni: si sono da poco riaperte le frontiere per gli stranieri nel nostro calcio, ed è così che il oresidente Romeo Anconetani, personaggio pittoresco ma grande intenditore di calcio, decide di rinforzare la squadra con ben due stranieri.

Il primo è il danese Klaus Berggreen, discretissima ala che parteciperà anche a due Campionati Europei e ad una Coppa del Mondo con la sua Nazionale e giocherà anche nella Roma e nel Torino. Il secondo, invece, è il misconosciuto mediano uruguaiano Jorge Washington Larrosa Caraballo. Pur giocando appena 7 partite in Italia, entrerà nella storia della società come il più pittoresco ed improbabile calciatore che ne abbia mai vestito la maglia.

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Arpad Weisz, la gloria e l’oblio

Un tempo buon giocatore di calcio, appesi gli scarpini al chiodo Arpad Weisz divenne il miglior allenatore d’Italia in un’epoca in cui la storia del calcio nel nostro Paese era ancora agli albori. Oltre a insegnare la tecnica fu il primo a introdurre una vera organizzazione tattica e lanciò un certo Giuseppe Meazza.

La sua conoscenza del gioco era tale che fu autore di un libro che ancora oggi, a ottant’anni di distanza, potrebbe suonare attuale ed essere utile ai tanti che parlano di pallone senza conoscerne la scienza esatta. Un personaggio che avrebbe meritato gloria e memoria eterna, ma che invece, improvvisamente, sparì letteralmente nel nulla. Inghiottito dalla follia dell’Olocausto.

Arpad Weisz, il rivoluzionario

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Ali Dia, professione impostore

La storia del calcio è piena di giocatori sopravvalutati, da cui ci aspettava sfracelli ma che per un motivo o per l’altro non hanno saputo realizzare le aspettative che gli esperti avevano intravisto in loro. Problemi fisici, problemi caratteriali, problemi tattici o di ambientamento: molti possono essere i motivi per cui un calciatore brilla solo un momento, un attimo, e poi mai più.

Sono le meteore, giocatori che magari hanno brillato per pochi istanti e che poi non hanno saputo confermarsi. La storia che state per leggere, tuttavia, non può essere inserita in questo gruppo. Ali Dia fu infatti un vero e proprio impostore, che incredibilmente riuscì anche a giocare nella prestigiosa Premier League inglese.

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